logo
  • userLoginStatus

Welcome

Our website is made possible by displaying online advertisements to our visitors.
Please disable your ad blocker to continue.

Current View

Biomedical Engineering - Radioprotezione

Completed notes of the course

Complete course

STRUTTURA DELL’ATOMO Atomo costituito da nucleo, che rappresenta la massa della materia, e un volume intorno che viene occupato da elettroni. Elettroni che non viaggiano precisamente su delle orbite ma che hanno una certa probabilità di trovarsi in una determinata posizione. A tomo come puntino dove c’è massa, immerso in nuvola di elettroni. Il volume del nucleo è centomila volte più piccolo del volume dell’atomo. Elettroni dislocati, ma con massa esigua. N protoni = n elettroni  n atomico Z: numero che identifica l’elemento. D a un punto di vista microscopico, la materia è fatta per lo più da vuoto. Poi abbiamo n neutroni, che sono privi di carica. Elemento indicato con lettere (esempio: C). In alto a sx la massa atomica - A (esempio: 12 – isotopo 12 del carbonio). In teoria an drebbe messo lo z in basso a dx. ma non sempre si mette perché possiamo risalire ad esso dall’elemento rappresentato dalla lettera. A dipende da quante particelle compongono il nucleo. Nel caso del carbonio abbiamo 6 protoni + 6 neutroni. Esistono altri is otopi del carbonio. Così come per l’idrogeno. Di tutti gli isotopi è stata costruita una tavola. Tavola che è un diagramma dove vengono portati tutti gli isotopi degli elementi noti. Asse x: N (n neutroni) . asse y: Z. N = A – Z. Nel caso di carbonio 12, p ossiamo subito identificare il numero z (6), e da quello risalire a N (12 -6 = 6). Mettendo insieme tutti gli isotopi ottengo una distribuzione che tende ad aprirsi, perché aumentando il numero atomico, il numero di isotopi tendenzialmente aumenta. Siccome diventerebbe tropp o lunga per essere rappresentata su un foglio, hanno spezzato la tavola. Le caselle bianche indicano gli elementi. Più o meno a metà rispetto alla parte colorata in rosso e blu, c’è una linea nera. Questa è caratterizzata dagli isotopi st abili degli elementi. Ad esempio, l’idrogeno 1 è stabile, ma il trizio no. Entrando nella linea del carbonio, già non è stabile. Il 12 e 13 sono stabili. Quindi non necessariamente un nucleo è stabile. Un nucleo stabile vuol dire che se non c’è interazione dall’esterno (solo interazioni chimiche), rimarrà stabile. Se non è stabile, vuol dire che nella sua configurazione c’è qualcosa che non va bene e ha bisogno di cedere energia per arrivare a stabilità. Un nucleo instabile è soggetto quindi a disintegrazio ne, andrà incontro ad una trasformazione in cui cede energia in modo da raggiungere l’equilibrio. La struttura di un nucleo può quindi assomigliare alla struttura di un atomo. Ci sono diverse modalità di decadimento o disintegrazione di un nucleo. Colo ri diversi della tavola indicano modalità diverse di decadimento. Rosso sopra la linea nera e blu sotto. Spostandoci verso l’estremo (z molto alti) compaiono anche giallo e verde. La riga di stabilità nera non coincide con la bisettrice, ma sta un po' sott o. Se prendo He ha 2 protoni e 2 neutroni, per cui sto sulla bisettrice. Come H -2 e C -12. Questa curva di stabilità inizia però a flettere. Arrivo all’uranio, che ha 92 protoni e 238 nucleoni (N = 146 e Z = 92). Quindi forte componente neutronica. Ricordia mo che se metto insieme protoni insieme nel nucleo, avendo carica positiva tendono ad opporsi, quindi ci deve essere qualcosa che bilancia, e questo qualcosa è la carica nucleare forte. La forza nucleare forte per elementi piccoli prevale, ma aumentando la massa degli atomi ho bisogno di mettere più collante, quindi più neutroni che non danno repulsione perché non hanno carica. Ecco perché la linea di stabilità tende a flettersi. Se mi trovo nell’area blu e voglio raggiungere la stabilità, devo trasformarmi in modo da perdere un neutrone e guadagnare un protone. Se basta ok, ma se sono troppo lontano devo ripetere l’operazione più volte. Viceversa, se mi trovo sul rosso, devo aumentare di un neutrone e perdere un protone. Com’è possibile che ci troviamo in natura fuori dalla linea di stabilità? In natura succede in poche occasioni, ma il problema è l’uomo. Dopo aver costruito le prime macchine a raggi X, e dopo i primi studi nel mondo delle radiazioni ionizzanti, l’uomo ha realizzato i primi prototipi di rea ttori nucleari che hanno messo in atto la fissione dell’uranio. Fissione vuol dire spaccare il nucleo dell’atomo in due elementi. Supponiamo di ottenere due frammenti di uguali dimensioni (z = 46 e A = 119). Quindi mantengo la proporzione, scendendo lungo una bisettrice. Dimezzo N e dimezzo Z. Ma questa bisettrice si allontana dalla linea di stabilità, quindi è normale che i frammenti dell’uranio cadano nella zona blu. Dobbiamo pensare al nucleo come insieme di palline ( neutroni e protoni), ma possiamo pen sare al neu trone come protone + elettrone (n = p + ⅇ−). Questo perché la massa dell’elettrone è trascurabile, ma mi bilancia la carica del protone ottenendo la configurazione neutra . Prendo come esempio un elemento che ha un protone (idrogeno) e A = 3, quindi trizio. Deve diminuire il numero di neutroni e aumentare il numero di protoni. Ma allora succede che un protone resistente rimane protone, uno dei neutroni rimane invariato, l’altro neutrone libera l’elettrone che ha in sé diventando un protone. Ho così soddisfatto il requisito per arrivare a stabilità. Il trizio raggiunge la stabilità facendo una trasformazione che ha comportato l’eliminazione di un elettrone proveniente dal nucleo. Questo fenomeno si chiama DECADIMENTO ������−, che caratterizza tutti gli isotopi blu. L’uranio 238 non decade subito con un �−, ma c’è una catena di decadimenti. All’inizio non si sapeva che la cosa che usciva era un elettrone, e venne chiamata particella �. C’era però una cosa che non tornava: questa particella buttata fuori non era costante, ma di volta in volta assumeva energie diverse, con una distribuzione continua fino ad un’energia massima. Fermi ipotizzò una terza particella, unico modo per far variare l’energia e la quantità di moto. Qu esta particella si chiama antineutrino ������̅. Per quanto riguarda i rossi, questi devono fare qualcosa di speculare, aumentare il numero di neutroni e diminuire quello di protoni. p = n + ⅇ+. Prendo �918. Dalla tabella vedo che devo spostarmi a dx e in bass o di un’unità, arrivando ad ossigeno 18, stabile. Nel fare questa operazione deve aver buttato fuori un �+, antiparticella, in seguito chiamata positrone. Questo positrone può essere utilizzato come sonda negli esami PET, perché viene sparato fuori dal f luoro 18, subirà interazioni con la materia perdendo energia, fino ad arrivare ad avere velocità così bassa da sostare vicino l’elettrone per un tempo sufficiente finché succede una cosa strana. �++ ⅇ− non possono coesistere e si elidono. Al loro posto co mpaiono due radiazioni elettromagnetiche �, sparate in direzione opposta, con energia corrispondente alla massima disponibile. � = ��2, m = massa elettrone, c = velocità della luce. Questa radiazione serve a capire dov’era posizionato il fluoro. Se mi t rovo tanto in alto avrò altri due colori: il giallo e il verde. Il giallo è dominante nella zona degli atomi pesanti e caratterizza il decadimento �. Ad esempio, l’uranio 238 va incontro a decadimento buttando fuori una particella �. Questa particella è un agglomerato di due protoni e due neutroni, uguale al nucleo dell’elio. In questa trasformazione scendo due volte in N e due volte in Z. Otterrò la seguente operazione: �92238 → �+ �ℎ90234 (Torio), che è una casella blu. Quindi effettuo decadimento �− e ottengo ������������91234 . Ma questa è ancora blu, quindi altro decadimento �− e ottengo �92234 . Riottengo elemento di partenza! Questo lo troviamo in natura, ma solo come prodotto del decadimento di �92238 . Questo non sarà stabile, e ricomincerà la catena di decadimento alpha e beta, fino ad arrivare dopo tanti processi ad un isotopo stabile del piombo. Questi sono tutti atomi di metallo, ma nella catena di decadimento arrivo a radio 226, che con decadiment o alpha diventa radon, un gas. Questo da un punto di vista della radioprotezione può dare problemi. Passiamo al verde. Questa è una fissione spontanea. La si trova solo all’estremo di quest’area. Sono nuclei che hanno la capacità di spaccarsi da soli in d ue frammenti. Uno dei radionuclidi prodotti dall’uomo è il ������������232 (californio). Questo viene utilizzato come sorgente di neutroni, grazie alla sua capacità di spaccarsi facilmente. In realtà quando si ottengono due frammenti, questi non sono uguali , ma si ottiene una distribuzione modale di questo tipo. Supponiamo di prendere tanti nuclei di uranio e di spaccarli. Ottengo dei frammenti, dei cocci. Questi avranno un peso atomico. Riporto la distribuzione sull’asse delle A, e mi accorgo che ho due massimi attorno al 6%: i frammenti che hanno questo numero di massa sono quelli più probabili che escono dalla fissione dell’uranio, con probabilità 6%, che corrispondono rispettivamente a peso atomico 90 e 130 -140. Gli elementi a cui si riferiscono sono Sr – 90 e Cs – 137, che sono un beta emettitore e un beta -gamma emettitore. Il Cs decadendo �− si trasforma in Ba – 137, che rimane a livello eccitato e si diseccita liberando energia sottoforma di radiazione elettromagnetica. Questa radiazione si chiama �, e ha energia precisa pari a 662 eV. Questo è un processo di transizione isometrica, perché il nucleo non cambia. Recap Le radiazioni si dividono in INDIRETTAMENTE IONIZZANTI E DIRETTAMENTE IONIZZANTI 1. IONIZZANTI: sono particelle cariche, purché abbiano en ergia cinetica superiore ad un certo valore.  �−+, �, p, ±ⅇ 2. NON IONIZZANTI: non hanno carica  radiazioni x e � (fotoniche)/ n (neutroni). X e � non hanno carica ma sono in grado di mettere in moto particelle cariche. n è una radiazione dotata di massa, ma non di carica. Può essere dotata di energia, ma non di soglia, quindi non ionizzante. A 25° ha energia cinetica molto bassa di 0.025 eV, cui corrisponde una velocità di 2200 m/s. con questa energia cinetica non si ion izza niente. Sorgenti Posso avere o materiale che emette radiazioni (sorgente radioattiva), oppure possiamo avere una macchina radiogena, apparecchiatura in grado di produrre fasci ionizzanti (direttamente e non). La differenza è che la macchina ha una spina, i materiali radioattivi lo sono e lo rimangono. Per rimuoverla dovrei modificare il nucleo, perché è lì che si crea l’instabilità. Ogni nucleo radioattivo ha una probabilità di decadere: più la probabilità è alta, più velocemente si trasformerà. Con venzionalmente si prende ������= costante di decadimento , ad indicare la probabilità che un nucleo si trasformi nell’unità di tempo. Si misura in [ �−1]. Se ho n nuclei ognuno con probabilità ������ di decadere, mi aspetto che nell’unità di tempo avrò N ������ probabil ità. Questa nuova grandezza è chiamata ATTIVITÀ = [ �−1] = [Bq] ( Becquerel ). 1 Bq = 1 disintegrazione al secondo. Numero di nuclei spariti dN = N �������� .  N(t) = ������0ⅇ−������������ andamento che tende a zero per un tempo che tende ad infinito. Se moltiplico tutto per ������: ������N(t) = ������������ 0ⅇ−������������. A(t) = attività di una sorgente = ������0ⅇ−������������. L’attività indica quante radiazioni vengono fuori. Può essere però che un nucleo possa decadere in più modi diversi. Bisogna vedere la probabilità percentuale che un nucleo segui un determinato decadimento invece che un altro. A(t) = ������0ⅇ−������������. C’è una cosa più immediata di ������. Questo parametro è �12⁄= TEMPO DI DIMEZZAMENTO . è il tempo che devo attendere affinché il numero iniziale di nuclei si dimezzi. Lo ot tengo dall’andamento esponenziale precedente del numero di nuclei. ������0 2 = ������0ⅇ−������ ������12⁄  2−1= ⅇ−������ ������12⁄  − �� 2= −�������12⁄  �12⁄ = ln2 ������. Le sorgenti neutroniche si possono realizzare prendendo un �- emettitore + nuclei leggeri. Ad esempio, Ra – 226 + Be. Queste sostanze devono essere miscelate, perché Ra - 226 decade � e � emesso se colpisce nucleo molto leggero può essere inglobato. Allora Be va in una condizione di instabilità e per raggiungere la stabilità sputa una particella neutrone. Non si fanno più queste sorgenti perché sono sorgenti anche di radiazioni gamma difficili da schermare. Si fanno sorgenti di Am (americe) – 241 + Be. Questo emette un gamma che ha energia abbastanza facile da sch ermare. I reattori finora utilizzati sono reattori a fissione. Si tratta di prendere nuclei pesanti di uranio e di andarli a spaccare. Quello che si spacca più facilmente è U – 235. Il 238 non è fissionabile, perché oltre a inglobare un neutrone termico, questo deve anche portare energia. Una volta acquisito il neutrone termico, l’U -235 diventa U - 236 eccitato e il modo più probabile che ha per diseccitarsi è spaccarsi in due frammenti scagliati in direzione opposta, perché si libera una quantità di energi a molto grande, di circa 200 MeV. Si pensi che in una reazione chimica, l’energia liberata per ogni processo è dell’ordine di decine eV. Tutta questa energia viene liberata perché se osserviamo l’energia di legame di un nucleo, ci accorgiamo che questa dip enderebbe dalle dimensioni del nucleo stesso. Si chiama Baengelliger il legame della dimensione della massa. L’uranio è verso la fine della curva perché pesante. La differenza di energia di legame viene restituita. Per fondere assieme i nuclei, dovrei vi ncere la repulsione coulombiana, perché i protoni si respingono. Se riuscissi ad avvicinarli entro un certo limite, vincerebbe la forza nucleare, che farebbe fondere i nuclei. L’unico modo è scaldare i nuclei in forma di plasma, portandoli a temperature co mparabili a quelle del sole. A quel punto l’energia cinetica di avvicinamento sarebbe sufficiente per vincere la repulsione coulombiana. Ma tenere plasma a milioni di gradi di temperatura in un reattore, è molto complicato e una sfida tecnologica non indif ferente. Tornando alla fissione, devo cercare di rallentare le particelle uscenti. Devo farle collidere con altri nuclei. Questa collisione sarà molto efficace se avrò due uguali masse. Uguale massa del neutrone è il protone, ovvero il nucleo dell’idrogen o. Quindi l’elemento migliore per rallentare i neutroni è l’idrogeno. Si sfrutta allora il fatto che l’acqua è in abbondanza presente nei reattori, con molteplici funzioni. Bisogna controllare questa cosa. Si liberano di solito per l’Uranio in media 2,47 n eutroni, facciamo 2. Se ognuno di questi due vengono usati per generare ulteriore fissione, si genereranno 4 neutroni, poi 8 e così via. Avremmo in poco tempo una quantità di fissione incredibile. Devo controllare il numero di neutroni, gestendo la popolaz ione di neutroni. Il reattore nucleare funge allo stesso tempo da sorgente radioattiva e da macchina. Se succede qualcosa, devo intervenire in tempo, spegnendo la reazione utilizzando barre di controllo. Queste barre mangiano neutroni e la reazione finisce perché non avrò più neutroni sufficienti. Quando spengo un reattore, rimangono però attivi tutti i prodotti di fissione generati fino a pochi istanti prima lo spegnimento. Ho la potenza termica ottenuta dal decadimento di questi, che saranno tutti radioat tivi. Quando l’attività è molto alta, questa diventa sorgente di calore. Se non riesco a raffreddare gli elementi di combustibile, succedono gli incidenti successi ad esempio a Chernobyl. I neutroni sono in grado di indurre anche altre reazioni oltre all a fissione. Una delle più comuni sulla terra è la cattura radioattiva, reazione (n, �). Vuol dire che un neutrone può essere catturato da un nucleo stabile, che diventa eccitato e si diseccita emettendo una radiazione gamma. In più il nucleo rimasto potreb be essere radioattivo. I neutroni possono quindi rendere radioattivi alcune sostanze. Questa reazione (n, �) può avvenire anche in direzione opposta, quando la radiazione gamma supera una certa energia. Se ho protoni sopra 10 MeV, e non ci sono sostanze ra dioattiva che emettono gamma con questa energia, dovrei indurre l’emissione di neutroni. Questo si può verificare negli ospedali dove si utilizzano acceleratori lineari. Nucleardata.nuclear.nu.se/toi/nucsearch.asp  caratteristiche di qualsiasi nuclide (emissione ed energie). Atom.kaeri.kr/nuchart/  tavola dei nuclidi digitale In questo sito (il primo) sono riportate anche eventuali emissioni x. Radiazione x che viene dal nucleo. Gli atomi possono essere ionizzati e perdere elettroni da qualsiasi orbitale, ma se l’orbitale è uno dei più interni dove gli elettroni hanno maggiore energia di legame, un elettrone più esterno fa un salto andando ad occupare il buco più inter no. Cadendo, l’elettrone cederà energia potenziale mg �ℎ. L’energia tra un orbitale esterno e uno più interno è importante, e questa viene liberata sottoforma di radiazione x. La tavola dei nuclidi è molto comoda perché ci lascia in poco tempo tante infor mazioni. QUALITÁ DELLA RADIAZIONE: TIPO ED ENERGIA Per radiazione ionizzante si intende qualsiasi tipo di radiazione in grado di produrre la ionizzazione di atomi e/o molecole del mezzo che attraversano. Ciò può avvenire: • direttamente: e±, p, α → ionizz ano per collisione • indirettamente: γ, n → mettono in moto particelle direttamente ionizzanti o danno luogo a reazioni nucleari. Oltre alla ionizzazione, le particelle ionizzanti perdono energia anche per eccitazione del mezzo attraversato. L'energia spes a da una particella ionizzante nell'attraversare un mezzo è ripartita circa in eguale misura tra eccitazione e ionizzazione della materia. Le energie di soglia per i due processi sono confrontabili e dell'ordine di alcuni eV per gli elettroni meno legati. Il mezzo in cui hanno origine i processi promossi dalle radiazioni ionizzanti può essere significativo a livello biologico cellulare. Discipline come la radiobiologia, la radioterapia, la medicina nucleare, la radioprotezione e la radiochimica cercano di m ettere in relazione l'effetto prodotto nel mezzo biologico con le caratteristiche fisiche del campo di radiazione. Gli effetti, biologici, fisici o chimici indotti dalle radiazioni ionizzanti si manifestano soltanto a seguito di una cessione di energia all a materia. Pertanto, per risolvere nel modo più intuitivo il problema è stata introdotta una grandezza, la dose assorbita, che rappresenta l'energia assorbita dal mezzo irradiato per unità di massa. Tuttavia tale quantità non è in grado di dare una spiegaz ione e una misura completa degli effetti biologici prodotti. Quindi sono state introdotte altre grandezze fisiche, dette dosimetriche, per descrivere le varie fasi dei processi di trasferimento di energia dalla radiazione alla materia. La dosimetria è la d isciplina che si occupa della misura dell'energia ceduta dalla radiazione e assorbita dal corpo irradiato. Per valutare le grandezze dosimetriche è necessario conoscere le caratteristiche del campo di radiazioni e quelle dei mezzi materiali, in rapporto al le interazioni con le radiazioni ionizzanti. Per descrivere il campo di radiazione si ricorre alle grandezze radiometriche, mentre le caratteristiche del mezzo vengono rappresentate mediante i coefficienti di interazione, il potere frenante, ecc. Tutte le grandezze dosimetriche possono essere espresse da una grandezza radiometrica moltiplicata per una costante caratteristica del mezzo. L'International Commission on Radiological Units (ICRU), organizzazione internazionale fondata nel 1925, ha, tra gli altri, lo scopo di formulare raccomandazioni riguardo alle grandezze e alle unità di misura di interesse radiologico. GRANDEZZE RADIOMETRICHE Attività Si definisce attività della sorgente radioattiva il numero di disintegrazioni nell'unità di tempo (non il nume ro di particelle o di fotoni emessi): � = ⅆ� ⅆ�, dN = numero di trasformazioni nucleari spontanee che avviene nella quantità di radionuclide considerata nell'intervallo di tempo dt (cambiamento di nuclide o transizione isomerica). L’attività è altresì prop orzionale al numero totale di atomi della specie considerata. Si può quindi scrivere : � = ⅆ� ⅆ� = −�� , d ove il segno meno indica la diminuzione nel tempo del numero di atomi . Risolvendo l’equazione differenziale scritta precedentemente si ottiene: �(�)= �0�−��, che rappresenta l’evoluzione nel tempo del numero di atomi della specie considerata. Allo stesso modo si potrà scrivere: �(�)= �0�−��. λ prende il nome di costante di decadimento e dimensionalmente si esprime in s -1. Fisicamente rappresenta la probabilità per unità di tempo che un determinato nucleo subisca un decadimento. Di particolare importanza è il tempo di dimezzamento , ossia il tempo necessario affinché una popolazione orig inaria di N nuclei dimezzi il proprio numero. Il tempo di dimezzamento può essere facilmente ricavato dall’equazione : �0�−�� = �0 2, da cui si ricava facilmente t = �12⁄= ��2 2. L'unità di misura dell’attività è il Becquerel (Bq): 1 Bq = 1 �−1. La prim a unità di misura storicamente utilizzata è il Curie (Ci); 1 Ci = 3.7 x 10 10Bq  attività in un grammo di radio. CURIE: se avessi una sorgete radioattiva gamma emettitrice, con attività dell’ordine di ��������, la spost erei con le mani. Se invece calo ai ��������, quella è ancora una sorgente che gestisco in laboratorio senza troppe precauzioni. È tuttavia meglio prenderla con le pinze. Se ho invece sorgente dell’ordine di Ci, non la sposto nemmeno più con le pinze. Sporadicamente, potrei prenderla con asta te lescopica. Ci sono irraggiatori che servono a produrre fasci di radiazione con certe caratteristiche. Queste sorgenti sono state posizionate all’interno di contenitori schermanti, e attraverso questi irraggiatori, con l’aiuto di alcuni macchinari posso pos izionare la sorgente nella giusta posizione. Saliamo ancora all’ordine dei kCi. Ad esempio, sorgenti usate per sterilizzazione. Normalmente sono in cobalto -60. Le sorgenti sono inserite in tubi di acciaio (battitoni), distribuiti in file. In questo tipo di impianto, l’uomo non può proprio esserci. Normalmente questa rastrelliera di sorgenti viene conservata in modo che la radiazione sia schermata e ci sia un accesso. Per schermarla, in mezzo alla sala di irraggiamento c’è una piscina profonda . La rastrelli era è calata dall’alto in questa piscina. L’acqua presente è sufficiente a schermare la radiazione emessa dalle sorgenti. Quando arrivano nuove sorgenti che devono sostituire quelle vecchie (perché le radiazioni emesse tendono a diminuire causa il tempo di dimezzamento del cobalto), i contenitori vengono presi dal camion e calati nel fondo della piscina. Poi si aprono i contenitori dall’alto e si inseriscono le sorgenti al posto giusto una alla volta. Attività specifica L'attività non dà informazioni sulla quantità di materia radioattiva presente. Serve conoscere l'attività specifica ��, che è espressa in Bq/g. Considerando un radionuclide allo stato puro, la sua attività, come già detto, è data dal prodotto tra la costante del decadimento e il numero di atomi presenti: � = �� . Tuttavia, il numero di atomi presenti si ottiene moltiplicando il numero di Avogadro ( �������� ), che rappresenta il numero di atomi in una mole, per il numero di moli M, che è dato dalla massa del radionuclide diviso il suo peso atom ico: � = � �������  � = �������� ∗�. Possiamo così sostituire nell'espressione dell'attività specifica : ��≡ � � = �� � = ������������� �� � = �� ������������� �������� = �������������� ������� . Costante Г specifica (quindi per gamma emettitori) Nel caso di sorgente puntiforme di fotoni si usa definire la costante gamma specifica Γ secondo la relazione: � = 12 �������̇, dove ������̇ = rateo (intensità) di esposizione , A = attività, 1 = distanza di 1m dalla sorgente . Avendo una sorgente γ nota di attività A, la costante Γ permette di conoscere la ������̇ a 1m dalla sorgente. La sorgente ha attività unitaria. In questo caso il mio Г è proprio ������̇. Le dimensioni di Γ sono �������2 ℎ������������ nelle unità di misura storiche, ��2 ���������� nel sistema internazionale di unità di misura (SI). Perché nell’unità di misura compare il m^2 e non solo m? Prendo due distanze diverse dalla sorgente, e considero superficie unitaria (sfere con raggio uno). L’intensità di esposizione è proporzionale a quanti fotoni liberati dalla sorgente arriveranno sulla superficie. Quindi ������̇1e ������̇2 saranno proporzionali a quanti fotoni al secondo arrivano sulle superfici. Quindi proporzionali alle intensità di fotoni. ������1= �̇ 4��2= ������ ������� ����������� ����������� ��� �′��������� à ������� ����� ,���������������� ������� ������ �������������� ���������� ���������� Stessa cosa per I2. ������̇1 ������̇2= ������2 ������1= ⅆ12 ⅆ22. Prendendo �1=1m  ������̇2= ⅆ12 ⅆ22������̇1. Quindi ad una posizione qualsiasi abbiamo ������̇1 ������̇�, e prendendo una d ad 1m, avremo ������̇1 ������̇�= ⅆ2 12. Quindi ������̇ⅆ= 12 ⅆ2������̇1= ������� ⅆ2. Questo perché l’intensità di esposizione ad un metro di distanza è Г, purché l’attività sia unitaria. Se prendo attività non più unitaria ma doppia, significa che anche il raggio sarà doppio . La sorgente deve essere puntiforme. Questa non esiste, ma app rossimamene lo è quando le distanze in gioco sono almeno 5 volte la dimensione massima tra sorgente e strumento che utilizzo per misure (rilevatore). C’è anche un limite massimo alla distanza, perché la radiazione che parte dalla sorgente deve potersi prop agare nella direzione corretta indisturbatamente. Ricordiamoci che però noi abbiamo l’aria, quindi la radiazione non può procedere in modo rettilineo, ma potrebbe subire delle deflessioni. La relazione vista perde di validità quando le distanze sono troppo elevate. Questa legge se riportata in un diagramma ci ricorda un andamento iperbolico (y - ������̇/ x – d). quindi la distanza è molto efficiente nella diminuzione di ������̇. Infatti, la distanza è uno dei metodi più efficaci dal proteggerci da radiazioni ionizza nti. Come si limitano le dosi? - Tempo: dose cresce linearmente col tempo - Distanza: dose diminuisce iperbolicamente - Schermo: tecnica più efficace, schermi spessi che garantiscono abbattimenti. Non sempre possibile. Le sorgenti gamma emettitrici sono tutte sigillate, perché la radiazione gamma ha una capacità di penetrazione nella materia considerevole, per cui il rivestimento in acciaio altera il campo di radiazione ma in modo trascurabile, tanto più è grande la quan tità di gamma emessi. Si usano due contenitori di acciaio saldati, uno dentro l’altro. In questo modo si hanno garanzia che le radiazioni non vengono disperse nell’ambiente. Sorgenti non gamma non possono essere sigillate in questo modo. Queste sorgenti ha nno una vita di circa 15 anni, perché poi potrebbe venir meno l’integrità del contenitore. SMEAR TEST: si prendono foglietti di carta da filtro o pezzetti di tessuto e si sfregano attorno la sorgente, in particolare in prossimità delle saldature. Questi f oglietti vengono analizzati in laboratorio per capire se su di loro c’è traccia di radionuclidi. Per sorgenti alfa e beta emettitori, queste radiazioni sono molto meno penetranti. Si prende un supporto metallico inerte e su questo con tecniche differenti, viene depositato su una faccia il radionuclide. Dopo si deposita uno strato di metallo inerte resistente all’ossidazione, con rivestimento di oro, per coprire il radionuclide. Il film di oro è di pochissimi micrometri, quindi ha bassissime proprietà mecca niche. Per questo tipo di sorgenti il test da effettuare è il WHITE TEST: si immerge la sorgente in una soluzione acquosa con T ben precisa per un t ben preciso. Dopo si estrae la sorgente e lasciata asciugare in aria. Si prende campione della soluzione e si analizza, valutando la presenza di radionuclidi. Altre caratteristiche di sorgente: qualità e filtrazione La qualità della radiazione emessa da una sorgente è rappresentata dal tipo e dall'energia delle particelle e radiazioni emesse. È nota a partire dallo schema di decadimento o è determinata mediante spettrometria. Essa viene ovviamente modificata dal materiale interposto tra sorgente e rivelatore. Per alcune sorgenti sigillate è necessario fornire anche le caratteristiche di filtrazione delle capsul e sigillate. Grandezze caratterizzanti per macchine radiogene Per “macchine radiogene” si intendono gli apparecchi generatori di radiazione ionizzante, come tubi a raggi X e acceleratori di particelle di vario tipo e energia. Nel caso degli acceleratori i parametri che più interessano la radioprotezione sono l'energia delle particelle accelerate e le potenze medie del fascio (prodotto della tensione per la corrente media). Nel caso dei tubi a raggi X sono grandezze caratterizzanti: • ΔV = d.d.p. applicata al tubo • I = corrente che fluisce nel tubo • Filtrazione propria del tubo e aggiuntiva Ampolla dove è stato fatto del vuoto. All’interno filamento metallico (tungsteno) e generatore di tensione che fa circolare corrente catodica. La corrente scalda il f ilamento, che genera elettroni liberi. Il numero di elettroni dipende dalla corrente (direttamente proporzionale). Poi ho altro generatore di tensione che connette filamento ad anodo, fatto di tungsteno. Applicando differenza di potenziale tra filamento ed anodo, gli elettroni si troveranno in campo elettrico e verranno accelerati uniformemente verso l’anodo. L’energia cinetica degli elettroni sarà uguale alla differenza di potenziale ed espressa in eV. Se ho 100 kV di ddp, avrò 100 KeV di energia cinetica. Questi elettroni impattano sulla massa di tungsteno. Questi viaggiano a velocità comparabile alla velocità della luce, quindi sono particelle relativistiche. Quando una particella carica è trattata come relativistica, se subisce accelerazione (deviando il suo percorso) perde energia irraggiando, sottoforma di radiazione x. Si genera quindi un fascio di radiazione x. Il punto in cui gli elettroni impattano sull’anodo si chiama MACCHIA FOCALE. Il fascio di raggi x viene estratto tramite una finestra posta su l tubo. Finestra che deve permettere di mantenere l’ermeticità del tubo, ma al tempo stesso di far uscire il fascio. Queste sono fatte in Berillio. C’è una particolare distribuzione dell’energia prodotta dai fasci x . Lo spettro di emissione del tubo a rag gi X dovrebbe avere, in linea teorica, un andamento raffigurato in figura 2a, dove V0 rappresenta la tensione di alimentazione del tubo . In realtà lo spettro che si misura sperimentalmente è qualitativamente indicato in figura 2b. I materiali strutturali d el tubo, infatti, producono un’attenuazione del fascio di radiazione che si evidenzia in misura maggiore per le basse energie. Solo il punto che interseca l’asse x ha energia pari a quella degli elettroni che hanno impattato sull’anodo. Questo fenomeno s i chiama RADIAZIONE DI FRENAMENTO (Brembtrahlung). Quest’effetto può essere esaltato utilizzando una filtrazione aggiuntiva costituita da una o più lastre di alluminio, rame, stagno, piombo di vario spessore (decimi di mm fino a qualche mm) interposte sul fascio. Per eliminare le righe caratteristiche (fluorescenza X) del metallo del 1° filtro si aggiunge a valle un altro filtro di metallo di numero atomico (Z) più piccolo che assorbe tali righe. È possibile che l’ultimo filtro sia costituito di materiale plastico. La filtrazione, come si dice comunemente, "indurisce" il fascio, ossia produce uno spostamento verso destra dell’energia più probabile, il che aumenta l’energia media e rende il fascio più penetrante. L’intensità totale di emissione, ovvero l’are a tratteggiata in figura 2, diminuisce. In genere per ddp 1: nell’attraversare il pri mo l’energia media è aumentata  maggior capacità di penetrazione. Mi servirà più materiale per il secondo filtro perché l’energia media è maggiore. Si può usare questo rapporto per capire quanto era dispersivo il fascio x. Tanto più lontano dall’unità, ta nto più polidromo. Per un tubo RX è definibile l'erogazione normalizzata, che è il rateo di esposizione a 1m di distanza dal fuoco, in determinate condizioni di filtrazione, per corrente unitaria (1mA) di elettroni attraverso il tubo (corrente anodica). V iene espressa abitualmente in R/(min*mA) a 1 m, specificando la ddp e i filtri usati. L’erogazione normalizzata è particolarmente utile per il calcolo delle schermature. Infine, si chiama potenza del tubo il prodotto tra ddp applicata e corrente anodica; s i esprime in mA ∙ kV o in W. K = RADIAZIONE NORMALIZZATA = ������̇ a 1m dalla macchia focale per corrente unitaria (1mA). GRANDEZZE DI CAMPO FLUENZA DI PARTICELLE La fluenza di particelle Φ è definita in un punto del mezzo irradiato da Φ = ⅆ� ⅆ�, misurata in �−2. dN è il numero di particelle che attraversano la sezione massima “da" di una sfera di raggio infinitesimo avente centro nel punto considerato . P è il punto dove vogliamo valutare la fluenza di particelle. Si prende la sezione massima della sfera con al centro il punto P . N.B.: si utilizza la notazione differenziale poiché la definizione deve potersi applicare anche nel caso di campi non uniformi, ove la fluenza cambia da punto a punto. A causa della natura statistica propria dei campi di radiazio ne, le variabili sono sempre di tipo casuale. Tale è anche il numero di particelle N, il cui differenziale dN deve intendersi come differenziale del numero medio atteso di particelle. Si definisce anche l’intensità o rateo di fluenza di particelle ϕ (spess o chiamata densità di flusso di particelle o semplicemente flusso di particelle) ������ = ⅆ������ ⅆ�= ⅆ2� ⅆ�∗ⅆ�, misurata in �−2�−1. FLUENZA DI ENERGIA Talvolta è più importante conoscere l'energia totale trasportata dalle particelle, piuttosto che il loro nume ro. Si introduce quindi la fluenza di energia delle particelle ������ = ⅆ������ ⅆ�, misurata in [J/m^2] . dR rappresenta la somma dell'energia, esclusa quella di quiete, di tutte le particelle che attraversano la sezione massima da della sfera infinitesima centrata n el punto considerato. Analogamente a prima, si definisce l'intensità di fluenza di energia o densità di flusso di energia, definita da ������ = ⅆ������ ⅆ�= ⅆ2������ ⅆ�∗ⅆ�, misurata in [J/m^2 *s], ovvero [W/m^2 ]. GRANDEZZE CARATTERISTICHE DELLE INTERAZIONI RADIAZIONE – MATERIA Un importante obiettivo della dosimetria è valutare l'energia depositata in una certa regione del mezzo irradiato. Non basta conoscere le grandezze di campo, per tale valutazione bisogna conoscere anche le costanti che specificano le proprietà del mezzo in rapporto alle interazioni tra radiazione e materia. Serve quindi conoscere, per le radiazioni indirettamente ionizzanti, la probabilità di subire interazioni da parte delle particelle; per le particelle direttamente ionizzanti, le modalità di ces sione di energia del mezzo. RADIAZIONE FOTONICA Una radiazione fotonica non è facilmente schermabile, come quella neutronica, perché hanno una capacità di penetrazione nella materia consistente. Quindi negli scenari di radiazione esterna, le radiazioni dom inanti sono quelle direttamente ionizzanti. Nel dettaglio, nel la grande maggioranza di applicazione industriale viene utilizzata maggiormente la radiazione fotonica. La radiazione fotonica è sola energia ( ℎ�), non ha né carica né massa. Quando arriva sul materiale, abbiamo 4 casi. 1. EFFETTO FOTOELETTRICO: ho atomo con elettroni dislocati sui diversi orbitali. Arriva radiazione fotonica, che interagisce con uno degli elettroni più legati all’atomo, trasferendo tutta l’energia sull’elettrone. L’elettrone vie ne quindi scagliato via dall’atomo, quindi ionizzato, con una certa energia cinetica. Questa energia cinetica sarà uguale all’energia trasferita dal fotone meno l’energia necessaria a ionizzare l’atomo: �������= ℎ�− �������. Ma per quelle che sono l’energia dei f otoni usuali, l’energia di legame è sempre trascurabile. Quindi normalmente l’elettrone scagliato via si è preso tutta l’energia del fotone come energia cinetica  �������= ℎ�. Si dice anche, in maniera impropria, che l’effetto fotoelettrico è l’unico che rim uove il fotone dallo spazio (dopo l’interazione non ho più il fotone). Questo non è vero: è rimasto atomo ionizzato dove manca elettrone tra i più legati, quindi elettrone più esterno va a prendere il posto vacante, e la differenza di energia viene liberat a come radiazione x caratteristica, tipica di ogni elemento. Quindi se sono in grado di misurare la radiazione x sono in grado di riconoscere l’elemento. Questo è alla base di una tecnica chiamata XRF (fluorescenza ai raggi x). Tecnica che può essere utili zzata ad esempio nell’arte, per capire quali pigmenti di colore ha utilizzato l’artista. Vengono commercializzate delle pistole, che possiedono un tubo a raggi x. Il fascio andrà ad irraggiare la superficie . All’interno c’è anche rilevatore, che permette di analizzare in poco tempo la composizione del materiale. 2. EFFETTO COMPTON: la radiazione non interagisce più con elettroni più legati, ma con quelli più periferici, scagliandolo via. Quello che si osserva è che la radiazione fotonica non muore, ma perde solo energia e subisce una deflessione. L’elettrone parte prendendosi solo un a parte dell’energia cinetica. L’energia che si prende l’elettone sarà uguale all’energia del fotone incidente meno l’energia del fotone deviato: �������= ℎ�− ℎ�′. Questo non sarà un numero fisso, perché l’angolo θ tra fotone entrante ed uscente varia. Per θ  0 (urto causato da sfioramento) , l’energia dell’elettrone tende a zero. Per θ  180 (fotone rimbalza dietro), abbiamo la massima energia dell’elettrone, che vale �������,�������� = 2(ℎ�)2 �0������2+2(ℎ�), dove �0 è la massa a riposo dell’elettrone. Se facciamo tent ativi prendendo fotoni a diversa energia, e calcoliamo l’energia massima per i diversi fotoni incidenti, scopriamo che la differenza tra l’energia del fotone incidente e la massima energia che si può prendere l’elettrone è mediamente ℎ�− �������,�������� = 200 �������������. Quindi l’elettrone può prendere un quantitativo di energia che va da 0 fino ad un massimo che sta 200 KeV prima dell’energia del fotone che ha provocato l’evento. Per la �������,�������� abbiamo due esempi: - Ce – 137: l’energia massima in questo caso è 478 KeV (184 KeV da ℎ�) - Co – 60 : l’energia massima in questo caso è 1118 KeV (214 KeV da ℎ�) 3. EFFETTO DI CREAZIONE DI COPPIE (pair , production): in questo caso l’atomo fa da catalizzatore, ma è un osservatore passivo. Lui dispone solo le forze del campo del nucleo. Arriva la radiazione fotonica, che interagisce col campo di forza del nucleo dell’atomo. Succede che si formano due part icelle cariche di segno opposto, un elettrone e un positrone, che vengono sparate con una certa energia cinetica in direzione opposta. L’energia del fotone è tutta servita a costruire le due particelle. �0�2= 511 ������������� . ���������������������� = 1022 ������������� . Sotto questa energia non può verificarsi la creazione. Supponiamo di avere un’energia del fotone pari a 3,022 MeV. Di questa 1,022 si sprecano per costruire le due particelle. L’energia rimasta sarà ripartita sulle due particelle come energia cinetica, quindi me ttendo in moto le particelle in direzione opposta. Questa sarà (ℎ�−1022 2 ). Il positrone e l’elettrone poi perdono energia interagendo con la materia, fin quando il positrone non trova un elettrone e compaiono due radiazioni elettromagnetiche con 511 KeV. Qu indi la radiazione fotonica non sparisce perché ricompaiono questi due gamma. Stessa cosa per l’elettrone. 4. SCATTERING COERENTE: il fotone subisce delle deflessioni quando viene riflesso, perdendo energia, proprio come avviene con la luce. Quest’ultimo non lo prendiamo in considerazione perché non c’è interazione con la materia. La probabilità che avvenga uno di questi eventi non è casuale, ma dipende dall’energia del fotone e dal materiale nel quale il fotone si sta diffondendo. Ad energia più bassa, l’e ffetto più ricorrente è il fotoelettrico. Man mano che l’energia aumenta la sua probabilità scende linearmente. Nella regione intermedia di energia, aumenta l’effetto Compton. Quando si supera la soglia di 1022 KeV diventa dominante la creazione di coppie. Più genericamente possiamo indicare le 3 probabilità in questo modo: 1. Probabilità fotoelettrico: τ ÷ �������������� 4 � 4,6 (ℎ�)3,5 2. Probabilità Compton: ������������÷ � ℎ� 3. Probabilità creazione coppie: �������� ÷ ������2log (ℎ�) Coefficiente di attenuazione µ = PROBABILITA’ DI INTERAZIONE PER UNITA’ DI PERCORSO = COEFFICIENTE DI ATTENUAZIONE LINEARE Consideriamo un fascio di fotoni �0 che incidono su uno spessore dl di un materiale, in uscita avrò un �′ più basso che in entrata. dN = N - �′. µ = ⅆ� �∗ⅆ�. �� = µ* � ∗��  N(x) = �0�−µ������. Identica alla legge di decadimento. Quindi N è il numero di fotoni che hanno attraversato un certo materiale di spessore x, senza interagire. Nella realtà si definisce un valore accettabile. Se considero l’intensità di fotoni �̇ e ho un �̇0 troppo alto, devo cercare di abbattere questo numero di fotoni. Sul grafico, andrò a trovare lo spessore x che mi abbatterà il numero di fotoni fino al numer o desiderato. In un modo simile a quello che facevamo con il dimezzamento, posso vedere questa legge come un modo per calcolarmi lo spessore di dimezzamento. Trovo ������12= ln2 �. Solitamente si utilizza 10 −3 come valore che voglio ottenere, perché il limite e ntro il quale posso svolgere più agevolmente i calcoli. Questo lo chiamo fattore 1000 e significa avere 10 spessori di dimezzamento. Se io conosco lo spessore di dimezzamento, posso determinare lo spessore di uno schermo. Trovo ad esempio che il ������12= 6�� per il Ce -137 e andrà costruito in piombo. Attenzione ad un fenomeno che si verifica quando sopponiamo una persona ad una radiazione: con il calcolo visto riusciamo a stimare la dose di radiazione non collisa che attraversa il materiale, ma non teniamo i n considerazione la dose non collisa che si forma per interazione con la materia. In generale, è comodo dare degli spessori non lineari, ma massici, spessore lineare moltiplicato per la densità del mezzo: ��� [������ �������2]. Si definisce anche il COEFFICIENTE DI ATTENUAZIONE MASSICO � ������ del materiale di densità ρ, per ogni fissata energia delle particelle considerate, la grandezza: � ������= 1 ������� ⋅ⅆ� ⅆ�. Infatti, � ������ è la probabilità di interazione delle particelle per unità di spessore massico . In questi ca si la formula sarà: �� = �� ������ ∗���  N(x) = �0� −������������������. Tale legge descrive correttamente la penetrazione del fascio nella materia soltanto nelle condizioni di buona geometria, ovvero quando sperimentalmente vengono contate, in uscita del mezzo, solo le particelle che non hanno subito interazioni e quindi non sono state deviate. Per quanto riguarda i fotoni, µ sarà dato dalle diverse probabilità: µ = τ + ������������+ �������� + �������������. Per i neutroni, a causa delle particolari caratteristiche del trasporto di energia nella materia, i coefficienti di attenzione massici risultano molto meno significativi che per i fotoni e difficilmente vengono impiegati nei problemi pratici. RIPRESA COEFFICIENTE DI ATTENUAZIONE �(�)= �0ⅇ−�������  �� (� �0)= −������� . Andando a diagrammare: nei casi reali, dall’altra parte dello schermo avrò una radiazione diffusa. Si tiene conto della radiazione diffusa aggiungendo alla formula il parametro B. �(�)= �� 0ⅇ−������� . In presenza di una buona geometria il valore di B è pari a 1. B non è un fattore trascurabile, perché può assumere valori anche importanti. Il calcolo di B però non è immediato. Uno dei più utilizzati è il microschield. MICROSHIELD: perme tte di selezionare sorgenti puntiformi, lineari, cilindriche e sferiche. Consente anche di applicare degli schermi, che possono essere piani o rivestimenti cilindrici. A questo punto nello spazio, con la sorgente rappresentata nell’origine, posso indagare su qual è la quantità di dose. Questo mi permette di capire in modo più realistico lo spessore x dello schermo. Questo codice è un codice deterministico, e permette di tener conto del fattore B. C’è un database con i principali radionuclidi. Coefficiente di trasferimento di energia Nessuna delle interazioni che concorrono a calcolare ������ � comportano il completo trasferimento dell'energia delle particelle all'elemento di volume considerato. Ad esempio, nei processi di diffusione in cui la particella diffusa conserva una frazione della sua energia; oppure nel caso della radiazione di frenamento (Bremsstrahlung) emessa dai secondari carichi prodotti: queste energie possono essere dissipate anche in punti lontani da quelli ove è avvenuta l'interazione. Pertanto , quando si è interessati alle cessioni locali di energia è necessario prendere in considerazione altri coefficienti. La cessione di energia avviene tramite 2 processi successivi: 1) messa in moto dei secondari carichi, con trasferimento a loro di parte o tutta l'energia 2) dissipazione di energia da parte dei secondari carichi attraverso le collisioni che subiscono nella materia. Si introduce pertanto un nuovo coefficiente d'interazione, il coefficiente di trasferimento di energia massico: �������� � = 1 ��� ⋅ⅆ��� ⅆ�. Questo t iene conto dell'energia che i fotoni cedono ai secondari carichi messi in moto . ⅆ��� �� è la frazione dell'energia delle particelle incidenti trasferita in energia cinetica di particelle secondarie a causa delle interazioni subite dai primari nel tratto dl del mezzo di densità ρ. N è il numero di particelle incidenti ed E l’energia della singola particella. Analogamente a quanto visto per il coefficiente di attenuazione, si può esplicitare il coefficiente di trasferimento d'energia massico nei suoi contributi: �������� � = ������������ �+ ������������ �+ ������������������ �. Questa energia che viene ceduta ai secondari carichi non è detto che venga assorbita localmente dal materiale . Coefficiente di assorbimento di energia Quando si vuole conoscere l'energia effe ttivamente depositata in un certo volume è necessario far uso del coefficiente di assorbimento di energia massico ������������������ � , definito come ������������������ � = ⅆ��������� ⅆ� 1 ��� . Possiamo definirlo anche come ������������������ � = �������� � (1− ������), dove g = frazione di energia ch e i secondari carichi dissipano in radiazione di frenamento nel materiale d'interesse . N.B.: ������������������ � e �������� � sono molto diversi solo quando le energie delle particelle cariche secondarie sono molto maggiori dalle loro energie di quiete, e soprattutto nei materiali a Z elevato. Nel caso dei neutroni in genere non avrebbe significato distinguere tra �������� � e ������������������ � poiché i valori numerici sono sostanzialmente coincidenti, a causa della trascurabile frazione d'energia che i secondari carichi dissipan o in radiazione di frenamento. Ricordare differenza tra particelle cariche e fotoni: i fotoni possono percorrere lunghi percorsi nella materia senza interagire, perché l’interazione fotonica è un fenomeno stocastico basato sulla probabilità; invece, le par ticelle cariche come vengono a contatto con la materia iniziano a perdere subito energia in modo deterministico. PARTICELLE DIRETTAMENTE IONIZZANTI La perdita di energia in un mezzo avviene per ionizzazione ed eccitazione (perdita per collisione). Esistono altri processi, ma a fini radioprotezionistici si considera di questi solo la perdita per irraggiamento, nel caso di particelle cariche leggere (e±) a energie relativistiche. Potere frenante massico Per descrivere le interazioni si fa ricorso ad a lcune grandezze fisiche, la più importanti delle quali è il potere frenante massico � � , definito da � �= 1 � ⅆ� ⅆ�, dove dE è l'energia persa da una particella carica di data energia nel tratto dl del materiale di densità ρ . � � si misura in ��2 ������� nel SI; in pratica si usa il ������������� ∗�������2 ������ . Può essere espresso come somma di 2 contributi: perdita per collisione e perdita per irraggiamento : (� �)��� = 1 �(ⅆ� ⅆ�)�������� + 1 �(ⅆ� ⅆ�)�������� . Per i miscugli o le sostanze composte: � � = ������������(� �)������������� (regola di Bragg – Kleeman) ove con Pi si intende la frazione in massa dei diversi elementi costituenti. A livello macroscopico posso avere due fenomeni diversi: posso avere due particelle che in un mezzo cedono la stessa energia per unità di percorso. La prima particella metterà in moto gli elettroni che incontra perché ionizza il mezzo. Questi elettroni potranno diffondere a loro volta nella materia, interagendo in modo Coulombiano con altri elettroni. Una seconda particella può mettere in moto degli ele ttroni, conferendo loro una energia media nettamente inferiore rispetto alla prima, ma mettendo in moto più particelle per avere lo stesso potere frenante massico. Avremo quindi tracce di percorso più basse degli elettroni. Se andiamo a vedere la distribuz ione di ionizzazione nel volume, nel primo caso il volume è abbastanza grande, quindi la densità relativamente bassa; nel secondo caso abbiamo una densità più alta perché concentrata tutta intorno alla traccia principale della particella carica che sta dif fondendo. Quindi macroscopicamente avremo lo stesso fenomeno, ma microscopicamente l’impatto sarà diverso. I radiobiologici hanno bisogno di una grandezza che possa descrivere correttamente questo diverso fenomeno microscopico , il potere frenante lineare rispetto alla collisione . Linear energy transfer (LET) Non basta conoscere il potere frenante massico per interpretare gli effetti della radiazione ionizzante sulla materia vivente. Infatti, è fondamentale la distribuzione spaziale dell'energia trasferita lungo le tracce delle particelle cariche. I secondari carichi messi in moto possono infatti avere energia sufficiente per costituire a loro volta tracce distinte da quelle della particella carica primaria (raggi delta) e produrre quindi ionizzazione a dis tanza da questa, oppure possono formare solo qualche gruppo di ioni in prossimità della traccia primaria stessa, se la loro energia è modesta. Per tenere conto di questo si introduce il LET, trasferimento lineare di energia (Linear Energy Trasfer) o pote re frenante lineare ristretto da collisioni , che si indica con �������. Chiamiamo dE l'energia dissipata della particella carica primaria considerata nel tratto dl in collisioni che comportano trasferimenti di energia inferiori ad un prefissato valore Δ; si definisce �������= (ⅆ� ⅆ�)Δ, dove Δ è espresso in eV. I l pedice delta indica quindi il valore massimo di energia trasferita per singola collisione . Esempio: �100 prende in esame tutte le collisioni che comportano i trasferimenti di energia in quantità infer iore a 100 eV. Solo questi trasferimenti verranno considerati come energia ceduta localmente nel mezzo. Se non si impone il valore limite Δ, il LET viene indicato come �∞ e ha lo stesso valore numerico del potere frenante lineare da collisione. �∞ si con sidera in acqua, perché quando considero l'interazione fotonica, l'acqua simula bene il tessuto umano . Il LET si esprime in � �; più frequentemente usato è il ������������� ������� . Energia media per coppia di ioni Se il mezzo è un gas, si usa spesso un'altra grandezza, che esprime l'energia media necessaria per creare una coppia di ioni in un gas. �̅ = � �, dove N rappresenta il numero di coppie di ioni prodotte quando una particella direttamente ionizzante di energia cinetica E viene completamente arrestata ne l gas considerato . NB: nel computo di N sono inclusi anche gli ioni prodotti dalla radiazione di frenamento e da altre reazioni secondarie prodotte dalla particella carica. Apparentemente �̅ dovrebbe coincidere con il potenziale di ionizzazione del gas, i cui valori sono compresi tra 5 e 20 eV. In pratica però non tutta l'energia ceduta dalle particelle cariche viene spesa in ionizzazione poiché una parte va dissipata in processi di eccitazione. Pertanto, il valore di �̅ sarà maggiore. �̅ dipende poco dal tipo e dall'energia della particella carica incidente e dalla natura del gas: i valori misurati si trovano tutti compresi tra 30 e 40 eV. Quindi in prima approssimazione si considera �̅ = 34eV (valore valido per elettroni in aria) indipendentemente dal tip o di particella e dal gas. Energia media per coppia di ioni – esempio Come ipotizzato, i valori di �̅ sono circa il doppio dei potenziali di ionizzazione, perché le particelle ionizzanti vanno ad eccitare e ionizzare il mezzo. Non c’è grande differenza tra alfa e �̅. C’è una discreta variabilità tra gas e gas. Per i gas, si usa �̅ perché nei gas gli ioni sono mobili, quindi in assenza di agente fisico forzante la ionizzazione si ricombina e dopo poco tempo non c’è più nulla di quello che è su