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Biomedical Engineering - Bioingegneria del Sistema Motoria

07 - Muscoli

Divided by topic

1 Anatomia e fisiologia dei muscoli scheletrici: Struttura anatomica Figura 1.1 Organizzazione strutturale di un muscolo scheletrico (o striato). (a) L'epimisio, formato da tessuto connettivo fibroso, avvolge il muscolo che risulta composto da fascicoli rivestiti dal perimisio. I fascicoli sono composti dalle fibre muscolari. (b) Le fibre muscolari, circondate dall'endomisio nel quale scorrono i capillari sanguigni, sono avvolte nel sarcolemma e sono formate da numerosi elementi più piccoli: le fibrille, che costituiscono l'elemento contrattile del muscolo. Queste ultime sono costituite da filamenti più piccoli che formano una struttura periodica lungo esse. L'unità costituente di questa struttura periodica è il sarcomero. (c) Il sarcomero è formato da filament i sottili di actina e spessi di miosina e risulta suddiviso in zone o bande (d) I filamenti spessi di miosina possiedono dei prolungamenti disposti in modo elicoidale: i ponti. Ogni filamento di miosina è circondato da sei filamenti di actina equispaziati. I ponti puntano in una direzione lungo una metà del filamento di miosina e nella direzione opposta lungo l'altra metà. In questa figura è mostrata solo una metà del filamento di miosina. Questi sono gli elementi essenziali per la contrazione muscolare. I filamenti sottili sono costituiti da molecole globulari di actina disposte a doppia elica, formate da due lobi separati da una fenditura nella quale l’ATP viene legato ed idrolizzato. 2 Lunghezza delle fibre muscolari: da 1 a 30 cm; Spessore: da 10 a 10 0 m. Lunghezza del sarcomero: in media 2.5 m. Diametro dei filamenti sottili di actina: circa 5 nm Diametro dei filamenti spessi di miosina: circa 12 nm. Struttura del filamento di miosina : I filamenti di miosina sono formati da un fascio centrale costituito dalle code molecolari di molecole di miosina disposte parallelamente, dal quale s i dipartono a due a due le teste molecolari ad intervalli di 14.3 nm. Questi prolungamenti trasversali di miosina si chiamano ponti ed è attraverso essi che i filamenti di actina e miosina interagiscono tra loro. La lunghezza media di un ponte è di circa 19 nm. Figura 1.2 Struttura di un miofilamento spesso, formato da miosina. Dal corpo centrale si diramano i ponti; elementi in grado di interagire con l’actina che costituisce i filamenti sottili e responsabili della contrazione. Ogni cop pia di ponti è ruotata di 120° rispetto alla successiva in modo da formare una spirale lungo il filamento. Figura 1.3 Molecola di miosina Si distinguono tre zone: la coda, formata da meromiosina leggera (LMM); il collo (zona S -2) e la testa composta da due lobi (zona S -1). Entrambe queste zone risultano formate da meromiosina pesante (HMM). La testa è la struttura in grado di interagire con l’actina; contiene due siti attivi LC in grado di legarsi con ioni bivalenti (Ca ++ ed Mg ++). Struttur a del filamento di actina: è formato da due fili granulosi che si attorcigliano l’uno sull’altro formando una doppia elica. 3 In mezzo alle eliche di actina si trovano due proteine addizionali: la tropomiosina [Tp], (è come un filo che si attorciglia sulla d oppia elica di actina) e la troponina [Tn] (formata da molecole granulose attaccate ad intervalli regolari alla tropomiosina). In condizioni di riposo, la troponina impedisce l’interazione tra i filamenti di actina e di miosina esercitando un’azione simile alla repulsione elettrostatica tra cariche dello stesso segno. La struttura del filamento sottile di actina è mostrata in figura 1.1c Fig. 1.1c Struttura del sarcomero: I filamenti di actina sono attaccati agli estremi del sarcomero ad una struttura detta "linea Z" (zwishenscheibe). La distanza tra due linee Z consecutive, definisce la lunghezza del sarcomero. I filamenti sottili si estendono dalla linea Z verso il centro del sarcomero, dove si sovrappongono con i filamenti di miosina . Banda I (o banda isotropa) contiene solo filamenti di actina; Banda H contiene solo filamenti di miosina; Banda A (o banda anisotropa): i filamenti si sovrappongono, è la zona interessata dal meccanismo di contrazione. Linea M .: sottili fili proteici di miomesina che collegano trasversalmente i filamenti di miosina adiacenti Figura 1.4 Sezione longitudinale di una fibrilla e struttura di un sarcomero. Sono evidenziate le bande definite precedentemente e le loro misure in media. La definizione di queste bande è importante per la descrizione del meccanismo di contrazione muscolare. La l inea M è visibile in figura 1.1cI ponti che collegano i filamenti di miosina a quelli di actina non sono mostrati. [ Herbert Hatze, Myocybernetic control models of skeletal muscle (1981) ] 4 Figura 1.5 Struttura di un sarcomero osservata al microscopio elettronico. Sono chiaramente visibili le bande e le strutture anatomiche precedentemente definite. Le zone AI sono quelle dove i filamenti di actina e di miosina si sovrappongono. Costituiscono le “aree efficaci” per la contrazione della fibra. Figura 1.6 Altre proteine presenti all’interno della fibra muscolare. Queste proteine contribuiscono a mantenere centrati rispettivamente i filamenti di miosina e quelli di actina Queste proteine sono poco importanti per il meccanismo di contrazione Meccanica molecolare della contrazione di una fibra Quando dal sistema nervoso centrale arriva uno stimolo motorio ad un muscolo, le sue fibre (alcune o tutte) si contraggono. La teoria più accettata per spiegare i meccanismi della contrazione muscolare è la teoria dei filamenti scorrevoli : l'accorciamento attivo del sarcomero è dovuto ad un movimento relativo tra i filamenti di actina e quelli di miosina, che scivolano l'uno sull'altro mantenendo ognuno la stessa lunghezza. La forza di contrazione è svil uppata dai ponti presenti nella banda A, dove i filamenti di actina e quelli di miosina si sovrappongono. 5 Le teste dei ponti partecipanti alla contrazione, si attaccano ai filamenti sottili di actina in corrispondenza di punti ben definiti ( siti attivi ) e ruotano lungo un arco attorno al loro collo, un po' come i remi di una barca. Questo movimento, provoca uno scivolamento dei ponti attaccati all’actina verso il centro del sarcomero. La figura 1.7 mostra il principio di funzionamento di questo meccanismo . Un ponte di miosina attaccato ad un filamento di actina si dice "in presa" . Dato che il singolo movimento di un ponte, produce un piccolissimo spostamento relativo tra i due filamenti, ogni ponte si stacca dal filamento di actina e si riattacca un po' pi ù avanti ripetendo questo movimento più volte (circa 5 6). I ponti non agiscono in maniera sincronizzata, ma indipendente; così in un certo istante, solo circa la metà di essi sono in presa generando forza e spostamento. Quando questi si staccano, altri entrano in presa mantenendo la tensione. La contrazione della fibra si riflette in una accorciamento delle bande I e H, mentre le linee Z si avvicinano tra loro. La lunghezza della banda A rimane costante, dato che i filamenti di miosina non cambiano la lo ro lunghezza. Figura 1.7 Stati possibili per un ponte di miosina e funzionamento del meccanismo di contrazione. 1. Ponte in quiete, adagiato lungo il filamento spesso di miosina. 2. Ponte staccato dal filamento di actina; presenta moto browniano. 3. Ponte in presa con l’actina in corrispondenza di un sito attivo; un ponte può attaccarsi sequenzialmente a più siti attivi. 4. L’idrolisi dell’ATP provoca un cambiamento nella conformazione del ponte ( Power Stroke ): la testa ruota provocando uno spostamento relativo t ra I filamenti di actina e quelli di miosina. Il filamento di actina è schematizzato dai cerchietti. Le frecce mostrano i passaggi di stato possibili per un ponte. In un muscolo rilassato, i ponti possono esistere in uno qualsiasi di questi quattro stati . 6 Meccanismo di contrazione Ogni fibra è innervata da un assone appartenente ad un motoneurone che controlla il comportamento della fibra stessa. In generale, ogni motoneurone innerva più fibre muscolari contemporaneamente. L’insieme del motoneurone, dell’assone, e delle fibre muscolari innervate costituisce l’Unità Motoria . L’accoppiamento nervo -fibra muscolare si chiama giunzione neuromuscolare , costituita dalla membrana presinaptica dell’assone e dalla membrana postsinaptica sulla fibra muscolare ( placca motrice ). In assenza di stimolazione, all’interno della fibra muscolare esiste un potenziale detto “ di riposo ” di –95 mV. Al di sotto del sarcolemma sopra le fibrille, ci sono delle sacche piene di ioni calcio Ca ++ che costituiscono il reticolo sarcoplasmico . Lungo il sarcolemma sono disposti dei “buchi” posti in corrispondenza dei dischi Z: i tubuli trasversali che costituiscono il sistema T , nei quali il sarcolemma penetra. I tubuli trasversali delimitano le sacche del reticolo sarcoplasmico. Figura 1.8 Schema del meccanismo di contrazione di una fibra muscolare. [ Adattato da G. I. .Zahalak, from: Multiple muscle systems (1990) ] 7  Eccitazione Il meccanismo è visualizzato in figura 1.8. Un potenziale d’azione viene generato nel colle del motoneurone che controlla la fibra in esame e raggiunge la giunzione neuromuscolare viaggiando a circa 100 m/s. Il potenziale d’azione rende la membrana presinaptica dell’assone permeabile agli ioni calcio Ca ++, i quali fanno si che vescicole presenti in q uesta zona rilascino il neurotrasmettitore acetilcolina ACh che contengono. L’acetilcolina attraversa la sinapsi e arriva alla placca motrice sulla fibra muscolare dopo 0.5 1 ms dove causa l’apertura die canali transmembranici . I canali transmembranici ape rti fanno passare all’interno della placca motrice ioni sodio Na + (più lentamente gli ioni potassio K + fuoriescono). Questi ioni caricano positivamente la placca motrice; si viene a creare una differenza di potenziale tra quest’ultima e l’interno della fi bra muscolare (che rimane al potenziale di riposo di –95 mV). Quando la placca motrice raggiunge un certo potenziale detto potenziale di soglia (circa –50 mV, quindi più elevato rispetto all’interno della fibra), si sviluppa un potenziale d’azione muscolar e del tutto analogo ad uno spike nervoso, che viaggia ad una velocità di circa 5 m/s dalla placca motrice verso le due estremità della fibra muscolare. Dall’istante nel quale viene generato il potenziale d’azione muscolare all’istante di inizio della contr azione della fibra, passa un intervallo di tempo di 3 10 ms chiamato periodo di latenza . Durante questo periodo (durante il quale le fibra non si contrae), interviene l’enzima 1 acetilcolinesterase che distrugge l’ACh rimasta nella giunzione neuromuscolare, chiude i canali transmembranici e ripristina le condizioni precedenti all’arrivo dell’impulso nervoso. Nei primi 1 2 ms immediatamente successivi alla generazione del potenziale d’azione muscolare il potenziale di riposo viene ripristinato da un’espulsion e di ioni potassio K +; questo intervallo di tempo è chiamato periodo refrattario della fibra.  Contrazione Il potenziale d’azione muscolare raggiunge le estremità delle sacche del reticolo sarcoplasmico e fa variare la permeabilità della membrana in modo t ale che gli ioni calcio Ca ++ qui contenuti vengono rilasciati nel sarcoplasma. Sono questi ioni che provocano la contrazione muscolare (il potenziale d’azione generato dagli Na + è da attribuirsi alla fase di eccitazione). 1 Un enzima è un catalizzatore per proteine. 8 Questo meccanismo è presente solo nei muscoli scheletrici. I muscoli lisci e quelli cardiaci, non possedendo un reticolo sarcoplasmico, devono prendere gli ioni Ca ++ necessari alla contrazione dall’esterno. Il processo di contrazione risulta in questo caso molto più lento. Dato che il p otenziale d’azione muscolare viaggia velocemente, (impiega al massimo 20 s a interessare tutto il reticolo sarcoplasmatico) si può supporre che il Ca ++ arrivi contemporaneamente a tutti i sarcomeri facendoli contrarre contemporaneamente. Il Ca ++ si attacca in modo reversibile alla troponina presente sui filamenti sottili (che in assenza di calcio impedisce l’interazione tra i filamenti di actina e di miosina) facendo in modo che i ponti di miosina possano attaccarsi ai filamenti di actina. Appare ntemente le molecole di troponina subiscono una variazione di configurazione, come se l’elica di tropomiosina sulla quale queste ultime sono poste, venisse “tirata” e penetrasse più profondamente nella doppia elica di actina allontanandosi dalle teste dei ponti. I punti nei quali i ponti di miosina possono attaccarsi all’actina si chiamano siti attivi , e sono disposti ad intervalli pressoché regolari lungo i filamenti sottili. Ad ogni sito attivo, corrisponde una molecola di troponina che regola l’accessib ilità del sito ad un ponte di miosina. La troponina in assenza di calcio, occupa il sito attivo corrispondente e impedisce quindi interazioni tra le fibrille. Lo “stiramento” della tropomiosina causata dagli ioni calcio legati alla troponina, allontanerebbe la prima dai siti attivi, facendola penetrare nell’actina e permettendo ai ponti di attaccarsi a quest’ultima. In definitiva il Ca ++ legandosi con la troponina, rimuove l’azione della tropomiosina che impedisce ai filamenti di actina e miosi na di interagire tra loro come descritto precedentemente. La fonte di energia necessaria per provocare il movimento dei ponti di miosina che causa la contrazione (il Power Stroke) è fornita dall’ adenosintrifosfato (ATP). Sui ponti di miosina è presente un enzima (ATPasi 2); quando un ponte di miosina si attacca all’actina, l’ATPasi viene attivato dall’actina e provoca l’idrolisi 3 dell’ATP in adenosindifosfato (ADP). La reazione che avviene è: ATP + H 2O  ADP + Pi (Pi = pirofosfato) Questa reazi one produce energia (circa 7.13 Kcal/mole) che viene utilizzata per produrre lavoro meccanico (provoca la rotazione delle teste dei ponti di miosina) accorciando la fibra e producendo calore a causa della viscosità. Per ogni ciclo di attacco/stacco di un p onte, viene idrolizzata una molecola di ATP. Quando l’idrolisi dell’ATP è terminata, l’ADP ed il 2 Esistono tre forme principali d i ATPasi corrispondenti al tipo di fibra muscolare che viene considerata (I, IIA o IIB – vedi più avanti) 3 Idrolisi : decomposizione di una sostanza tramite inserimento di molecole d’acqua tra alcuni dei suoi legami. 9 pirofosfato prodotti si staccano dalla testa dei ponti di miosina e finiscono nel sarcoplasma della fibra.  Rilassamento Anche il meccanismo di rilassamento de lla fibra ha bisogno di energia per avvenire in quanto occorre compiere lavoro per dissociare i ponti di actina e di miosina che sono precedentemente entrati in presa. Perché un ponte di miosina riesca a staccarsi dall’actina, occorre che nuovo ATP si legh i alla testa di quest’ultimo; quando questo accade, il legame tra actina e miosina si spezza. In assenza di ATP, actina e miosina non riescono a dissociarsi. La membrana del reticolo sarcoplasmico che contiene gli ioni Ca ++ è una membrana attiva, cioè pos siede una “pompa” sempre in funzione che tende a riportare gli ioni all’interno delle sacche del reticolo sarcoplasmatico. Il calcio rilasciato dal reticolo durante la contrazione e quello legato alla troponina, viene recuperato per mezzo di questo meccani smo. Perché questo accada devo comunque fornire energia perché pur avendo alta concentrazione di calcio esternamente al reticolo (cioè internamente alla fibra) e bassa concentrazione internamente al reticolo sarcoplasmico (l’osmosi risulterebbe spontanea) , la membrana è poco permeabile dato che non c’è potenziale d’azione. L’energia per l’operazione di “ricarica” del Ca ++ è ricavata anche in questo caso dall’ATP che risulta presente nel sarcoplasma della fibra. La contrazione muscolare termina quando la co ncentrazione di calcio scende sotto un certo livello e la tropomiosina torna ad impedire l’interazione tra i filamenti. L’operazione di riassorbimento del calcio risulta comunque molto più lenta di quella di rilascio, perciò la contrazione prosegue per ce ntinaia di millisecondi dopo la generazione del potenziale d’azione muscolare. Tipi di fibre A seconda del sistema energetico utilizzato e della velocità con la quale l'energia viene resa disponibile al sistema contrattile del sarcomero, si possono cla ssificare tre tipi di fibre muscolari:  Fibre lente ossidative (SO – Slow Oxidative) dette di tipo I  Fibre veloci ossidative -glicoliche (FOG – Fast Oxidative -Glycolytic) dette di tipo II A  Fibre veloci glicoliche (FG – Fast Glycolytic) dette di tipo II B 10 Le fibre di tipo I (SO) utilizzano prevalentemente il sistema energetico aerobico, si contraggono lentamente e si stancano difficilmente dato che sono irrorate da una fitta rete di vasi sanguigni che forniscono ossigeno e nutrimento. Queste fibre sostengono il lavoro prolungato e sono presenti in maggioranza nei muscoli antigravitari che solitamente sono continuamente sollecitati. Le fibre di tipo II A (FOG) utilizzano entrambi i sistemi energetici aerobico ed anaerobico. Si contraggono velocemente e risulta no ben irrorate dai capillari, per cui possono mantenere la contrazione per periodi di tempo relativamente lunghi. Le fibre di tipo I e II A sono dette anche fibre rosse ; il colore rosso è dovuto alla massiccia presenza di mioglobina al loro interno. Ques te fibre hanno dimensioni piuttosto contenute, perciò producono tensioni muscolari piuttosto basse. Le fibre di tipo II B (FG) utilizzano prevalentemente il sistema anaerobico alattacido: sono irrorate da pochi vasi sanguigni, si contraggono molto rapidame nte ma si stancano velocemente, quindi sostengono il lavoro intenso e breve. Queste fibre hanno un diametro maggiore delle altre, perciò sono in grado di produrre tensioni muscolari elevate anche se per brevi periodi di tempo (forniscono la cosiddetta "pot enza esplosiva"). Data la quasi totale assenza di mioglobina al loro interno, queste fibre sono chiamate anche fibre bianche . 11 Le unità motorie Un' unità motoria è costituita da un gruppo di fibre (che risultano tutte dello stesso tipo) inn ervate dallo stesso motoneurone e costituisce quindi l'unità funzionale dei muscoli scheletrici. Le fibre appartenenti ad una stessa unità motoria, generalmente non sono contigue ma risultano sparse nella sezione del muscolo; quindi se un motoneurone viene stimolato, una ampia porzione del muscolo sembra contrarsi. Il numero di fibre che costituiscono un'unità motoria può variare da 3 a 2000, a seconda della precisione del movimento a cui il muscolo è preposto. Il rapporto tra numero di fibre muscolari e nu mero di fibre nervose in un muscolo prende il nome di rapporto di innervazione Consideriamo un muscolo composto da tutti e tre i tipi di fibre muscolari (es. il bicipite): per basse tensioni muscolari vengono contratte (reclutate) solo le unità motrici composte da fibre di tipo I (SO). Man mano che la forza esercitata aumenta, vengono reclutate prima le unità motrici composte da fibre di tipo II A (FOG) e poi quelle di tipo II B (FG). L'utilizzo delle unità motorie segue il principio di reclutamento di Hanneman (size principle) , il quale stabilisce che la dimensione delle unità motorie reclutate aumenta proporzionalmente alla tensione muscolare. Questo succede perché le fibre più piccole sono innervate da piccole fibre nervose, le quali sono eccitate pi ù facilmente. Le fibre appartenenti alla medesima unità motoria obbediscono alla legge del tutto o niente : o si contraggono al massimo, oppure non si contraggono del tutto. La forza che un muscolo riesce ad esercitare aumenta in maniera proporzionale al nu mero di unità motorie chiamate in causa e alla frequenza dei potenziali d'azione. 12 Caratteristica Forza -Lunghezza del sarcomero Data la struttura del sarcomero e le modalità di generazione della forza, esiste una dire tta dipendenza della forza generata dalla lunghezza alla quale il sarcomero è mantenuto; la figura sottostante mostra schematicamente tale dipendenza. 2.0 -2.25 m < 1.27 m 1.65 -2.0 m 2.25 -3.6 m Actina  Miosina  1.27 -1.65 m 1.27 1.65 2.0 2.25 3.6 [ m]  1.0     0.5     0.0  Forza normalizzata  13 Esiste anche una dipendenza della forza del sarcomero dalla velocità di variazione di lunghezza. Durante l’accorciamento i ponti actina -miosina devono staccarsi e riattaccarsi in siti diversi . Dato che il fenomeno richiede un certo tempo, la forza di contrazione diminuisce; al contrario, in condizioni di allungamento il collo dei filamenti di miosina vengono stirati prima del distacco, e quindi la forza aumenta. P0 Vmax -0.25 0.0 0.25 0.5 0.75 1.0 1.5 1.25 1.0 0.75 0.5 0.25 14 Struttura globale del muscolo scheletrico Analisi di numerosi muscoli scheletrici hanno messo in evidenza molte proprietà comuni. I muscoli scheletrici si attaccano alle ossa per mezzo dei tendini, strutture formate da tessuto connettivo. A volte i tendini sono così piccoli che le fibre muscolari sembrano attaccate direttamente sull’osso. Macroscopicamente si distingue un origine (l’estremità prossimale) ed un’inserzione (l’estremità distale) del muscolo. Spesso l’ origine muscolare risulta più estesa rispetto all’inserzione, nella quale le fibre convergono in un robusto tendine (es: soleo). Comunque, anche conoscendo la posizione dell’origine e dell’inserzione, non è possibile descrivere il movimento risultante dall a contrazione di un muscolo basandosi solo su queste informazioni. Questo perché spesso i muscoli attraversano ed agiscono su più articolazioni, influenzando quindi più zone contemporaneamente. La disposizione delle fibre muscolari rispetto all’asse delle forze generate, risulta fondamentale nella determinazione delle proprietà funzionali del muscolo e può variare molto a seconda del muscolo considerato. Esistono tre tipi principali di disposizioni possibili per le fibre muscolari (vedi figura 3):  Parallel amente all’asse delle forze generate dalla contrazione muscolare: in questo caso si parla di muscoli a fibre parallele o longitudinali (figura 3 a sinistra).  Inclinate di un certo angolo, costante per tutte le fibre, rispetto all’asse delle forze generate: i muscoli così composti si chiamano unipennati (figura 3 in mezzo) e l’angolo di inclinazione viene chiamato angolo di pennazione . In genere questo angolo varia da 0 a 30°.  Orientate ad angoli differenti a seconda della fibra considerata, rispetto all’as se delle forze generate. La maggior parte dei muscoli appartiene a quest’ultima categoria: i muscoli multipennati (figura 3 a destra). Figura 3 Possibili disposizioni delle fibre muscolari per muscoli diversi (ML=lunghezza muscolare, FL=lunghezza delle fibre). L’angolo di pennazione è misurato determinando l’inclinazione media delle fibre sulla superficie muscolare. La lunghezza muscolare è definita come la distanza tra l’origine delle fibre muscolari più prossimali e l’inserzione de lle fibre più distali. La lunghezza delle fibre non raggiungerà mai la lunghezza muscolare totale: il rapporto tra lunghezza delle fibre e lunghezza totale del muscolo (FL/ML) può variare tra 0.2 e 0.6. Le proprietà contrattili macroscopiche del muscolo risultano determinate principalmente dalla sua massa, dalla sua lunghezza totale, delle sue fibre e dei sarcomeri e dall’angolo di pennazione delle fibre costituenti. 15 Area della sezione trasversale fisiologica (Physiologic Cross -Sectional Area - PCSA) Una ulteriore caratteristica del muscolo, importante per la determinazione delle sue funzionalità, è l’area fisiologica della sua sezione trasversale (PCSA). In generale è differente dall’area vera e propria della sezione trasversale muscolare ( M SA - che si potrebbe ottenere non invasivamente mediante TAC o RM) e risulta essere direttamente proporzionale alla massima forza esercitabile dal muscolo. Teoricamente la PCSA rappresenta la somma delle aree delle sezioni trasversali di tutte le fibre costituenti il muscolo , proiettata nel piano trasversale del muscolo stesso. Essa è data dall a seguente espressione: dove  è la densità del tessuto muscolare (1.056 g/cm 3 per i mammiferi) e  è l’angolo di pennazione superficiale delle fibre. Si noti che la massa divisa per la densità fornisce il volume del muscolo. Se quest’ultimo è supposto cilindrico, il volume diviso per la lunghezza delle fibre rappresenta un’approssimazione dell’area d ella sezione trasversale CSA del cilindro (la lunghezza delle fibre – come accennato precedentemente – non raggiunge mai la lunghezza muscolare). Moltiplicandola per cos( ), quest’area viene proiettata sul piano perpendicola re all’asse di generazione dell a forza muscolare . In prima approssimazione possiamo dire che risulta: PCSA (cm 2) = CSA (cm 2)  cos( ) Una fibra muscolare esercita l’azione di contrazione lungo la direzione del suo asse. Se quest’ultimo è inclinato rispetto all ’asse di generazione delle forze, l’azione riscontrabile alle estremità del muscolo risulterà avere modulo F’=F cos( )  F. Figura 4 Effetto dell’angolo di pennazione: A: Le fibre parallele trasmettono tutta la loro capacità contrattile al tendine; quelle pennate invece ne trasmettono solo una parte. Un angolo di 30° trasmette al tendine circa il 90% della tensione esercitata dalle fibre (cos(30)=0.87). B: Anche se ho una perdita del 10% del potere contrattile delle fibre, la pe nnazione permette di compattare un gran numero di fibre in un’area trasversale minore. (cm) ) (g/cm (g) 2 fibre lunghezza ρ ) cos( muscolare massa ) (cm PCSA 3    F  16 L’angolo di pennazione quindi diminuisce il potere contrattile determinato dalle fibre muscolari e può quindi apparire come uno “spreco di risorse”. In realtà, però, a parità di volume il numero di fibre che stanno in una sezione trasversale CSA è superiore a quello che starebbe nella sezione trasversale MSA (infatti nel muscolo pennato le fibre hanno lunghezza molto minore dell’intero ventre muscolare). A parità di f orza richiesta, s e l’angolo di pennazione fosse 0° si otterrebbe un muscolo con sezione trasversale troppo grande per poter essere posizionato dove occorre la sua azione. Quindi l’introduzione dell’angolo di pennazione realizza una strategia salva -spazio al prezzo di una piccola diminuzione del rendimento contrattile delle fibre. E’ importante notare che la PCSA (e quindi anche la massima forza esercitatile dal muscolo) non è proporzionale solamente alla massa muscolare. Mentre la massa è proporzio nale alla quantità di elementi contrattili, la disposizione di quest’ultima risulta fondamentale per la definizione delle proprietà funzionali muscolari ed, in generale, c’è una bassa cor relazione tra la massa e la PCS A. Muscoli degli arti inferiori Esaminiamo le caratteristiche strutturali e funzionali dei muscoli principali degli arti inferiori. I quadricipiti possiedono un angolo di pennazione relativamente elevato e fibre di lunghezza limitata. La loro architettura è adatta per generare forze notevoli. I muscoli posteriori della coscia (bicipite femorale, semitendinoso e semimembranoso) hanno fibre relativamente lunghe e una PCSA intermedia. Risultano adatti per subire notevoli allungamenti (gli allungamenti sono proporziona li alla lunghezza delle fibre). Anche i muscoli flessori e dorsiflessori plantari presentano le stesse caratteristiche rispettivamente. Una possibile conclusione (non propriamente generale) potrebbe essere che l’architettura dei muscoli antigravitari risu lta studiata per la produzione di forze notevoli, mentre quella dei flessori permetta a questi ultimi di allungarsi facilmente. I parametri più importanti per la caratterizzazione funzionale di un muscolo risultano quindi la PCSA (proporzionale alla massim a forza esercitabile) e la lunghezza delle fibre costituenti (proporzionale al massimo allungamento applicabile al muscolo). 17 Figura 5 Proprietà dei muscoli degli arti inferiori. Data la notevole area della sezione trasversale ed il loro bass o rapporto FL/ML, i quadricipiti ed i flessori plantari sono adatti alla produzione di forze notevoli. Al contrario, i muscoli posteriori della coscia (hamstrings) e i dorsiflessori plantari risultano “progettati” per notevoli allungamenti e velocità, dato il loro alto rapporti FL/ML. La produzione del movimento Prima di analizzare come l’apparato muscolare, assieme ai tendini ed alle ossa, producono il movimento, occorre introdurre qualche definizione per descrivere l’azione dei muscoli. Nel mondo reale non è possibile considerare contrazioni perfettamente isometriche o isotoniche, dato che l’attività muscolare non avviene mai a lunghezza o sotto carichi costanti. I tendini non possono essere considerati come semplici collegamenti rigidi, date le loro caratteristiche spiccatamente viscoelastiche. Valori tipici del modulo di elasticità  per i muscoli, i tendini ed le ossa risultano rispettivamente 200 KPa, 1 GPa e 20 GPa rispettivamente. Figura 6 Richiamo sulle caratteristiche me ccaniche dei tendini. A: Tensione applicata al tendine; B: Deformazione provocata dal carico applicato (percentuale rispetto alla lunghezza in assenza di carico); C: Caratteristica carico/deformazione risultante. Le prove meccaniche sui tendin i sono state compiute quasi esclusivamente su campioni di tessuti ‘in vitro’, e non in condizioni fisiologiche. Stime della deformazione dei tendini durante la contrazione muscolare quantificano , in condizioni di contrazione tetanica isometrica, deformazi oni del 3% rispetto alla lunghezza di riposo. 18 Occorre quindi considerare i muscoli connessi alle ossa attraverso delle strutture relativamente cedevoli, che si deformano durante la contrazione. Raffinando ulteriormente le osservazioni, misure sperimentali hanno mostrato che zone differenti appartenenti allo stesso tendine, mostrano proprietà meccaniche differenti: le parti tendinee vicine all’osso risultano essere fino a cinque volte più resistenti rispetto a quelle connesse alle fibre muscolari (vedi figu ra 7). Figura 7 Caratteristiche carico/deformazioni per differenti regioni di un tendine di rana. Figura 8 Comportamento di un muscolo che si contrae mentre le sue inserzioni sono mantenute fisse. La componente muscolare (il sarcomero) si contrae allungando quella tendinea (le molle). Le molle si deformano in modo non uniforme per tener conto delle diverse caratteristiche relative alle varie zone del tendine. Quando un muscolo sviluppa forza contrattile, i tendini ad esso attaccati si deformeranno, permettendo al muscolo di accorciarsi (vedi figura 8). Questa è la ragione per la quale, anche mantenendo fisso l’angolo di un’articolazione, non è possibile ottenere una contrazione perfettamente isometrica. Gr azie alla deformabilità dei tendini, il sistema muscolo+tendine avrà un intervallo operativo in lunghezza più ampio di quello relativo alla sola parte muscolare, dato che parte delle variazioni di lunghezza vengono assorbite dal tendine e non gravano inter amente sulle fibre muscolari. Questo si paga con un piccolo ritardo nella propagazione della contrazione muscolare che, prima di poter raggiungere le ossa, deve allungare la parte tendinea. C’è quindi un compromesso tra intervallo di azione e controllo m uscolare. La lunghezza del tendine costituisce quindi un importante parametro per la determinazione delle caratteristiche fisiologiche del muscolo in quanto determina anche la lunghezza alla quale viene esercitata la massima forza muscolare (vedi figura 9 ). 19 Figura 9 Caratteristica lunghezza/massima tensione esercitabile di un muscolo al variare della rigidità del tendine. I puntini rappresentano la caratteristica di un muscolo con un tendine cedevole, mentre la linea solida è quella di un musco lo con un tendine molto rigido (deviata rispetto alla prima). Le crocette mostrano una tipica curva di deformazione della componente tendinea. Braccio di leva associato al momento muscolare prodotto L’azione delle forze prodotte dai muscoli ch e attraversano un’articolazione, può essere rappresentata con un momento agente sui segmenti scheletrici, che provoca la rotazione relativa di questi ultimi (momento articolare). La maggior parte delle articolazioni permette ai segmen ti facenti capo ad essa, di compiere movimenti relativi che risultano prettamente rotatori. In ogni istante è quindi possibile definire ed identificare (almeno teoricamente; in pratica questa operazione presenta non poche difficoltà) il centro di istantan ea rotazione (CIR) dei segmenti, imposto dall’articolazione. Figura 10 Determinazione del braccio di leva associato al momento articolare prodotto da un muscolo (che potrebbe essere il brachiale). Si noti che il braccio cambia al variare dell’angolo dell’articolazione. A: L’articolazione è in estensione quasi completa; il braccio risulta piccolo (1.7 cm) ed il muscolo lavora in condizioni meccaniche sfavorevoli; la maggior parte della forza muscolare provocherà una compressione dell’artico lazione piuttosto che una rotazione relativa. B: Il braccio di leva è aumentato considerevolmente (4.3 cm); la forza muscolare è trasdotta quasi interamente in rotazione. Il braccio di leva corrispondente al momento articolare prodotto da un det erminato muscolo, è definito come la distanza tra il CIR articolare e la linea d’azione della forza prodotta dal muscolo in esame (vedi figura 10). Le relazioni tra la cinematica articolare e le proprietà funzionali dei muscoli, in generale non sono ricav abili facilmente. Per esempio, riferendosi all’articolazione di figura 10, qual’è la relazione che lega la forza prodotta dal muscolo con la configurazione cinematica articolare (l’angolo ) ? La massima forza esercitabile dal muscolo coincide con il val ore di  che rende massimo il braccio di leva ? Le risposte a queste domande sono spesso sconosciute. M  20 Figura 11 A: Proprietà funzionali del muscolo considerato in figura 10 (forza massima esercitabile dal muscolo in funzione dell’angolo ). B: Proprietà cinematiche dell’articolazione di figura 10 (andamento del braccio di leva al variare dell’angolo ). La freccia con il punto interrogativo ricorda che la relazione angolare che lega le proprietà muscolari con la cinematica articolare è in gene re sconosciuta. La conoscenza della relazione tra proprietà funzionali muscolari e cinematica articolare risulterebbe importantissima per la comprensione dell’architettura del sistema muscolo -scheletrico. Porrebbe anche le basi scientifiche per le procedure chirurgiche che richiedono lo spostamento dei muscoli da una posizione ad un’altra. Momento generato negli arti posteriori di rana Riportiamo ora i risultati di un esperimento volto ad analizzare la relazione tra la lunghezza dei sarcomeri e l’angolo articolare negli arti inferiori di rana (Lieber e Boakes – 1988). Il muscolo di rana è l’unico muscolo per il quale la relazione tra lunghezza e tensione muscolare è conosciuta con un certo dettaglio; in altre parole, questo è l’unico muscolo pe r il quale risulta nota la relazione tra la lunghezza dei sarcomeri e l’angolo dell’articolazione. In questo studio è stato esaminato il muscolo semitendinoso durante la rotazione del ginocchio. Nella rana, il semitendinoso è un muscolo biarticolare (att raversa due articolazioni: il ginocchio e l’anca). Il bacino, il femore, la tibia ed il semitendinoso della rana sono stati isolati. Con l’anca tenuta fissa a 90° di flessione, il ginocchio è stato ruotato lungo tutto il suo intervallo di mobilità (da 0° a 180° di flessione). Durante il movimento, la lunghezza del sarcomero è stata rilevata per mezzo della diffrazione laser. Questo metodo è basato sul fatto che la periodicità delle bande A -I dei sarcomeri agisce come una griglia di diffrazione i per la ra diazione laser incidente. L’intensità della figura di diffrazione ottenuta (provocata da interferenze distruttive e costruttive) risulta dipendente dalla lunghezza del sarcomero. La relazione tra la lunghezza media dei sarcomeri e l’angolo dell’articolazi one, fornisce un’indicazione su come cambia la forza esercitata dal muscolo durante il movimento. La cinematica articolare è stata studiata, mostrando come il ginocchio di rana si comporti come una cerniera perfetta. I risultati dell’esperimento sono rias sunti in figura 12 21 Figura 12 A: Relazione tra lunghezza media dei sarcomeri (puntini) ed angolo articolare. La linea continua e l’asse a destra forniscono una stima della massima forza esercitabile dal muscolo, calcolata sulla base della lungh ezza dei sarcomeri. B: Braccio di leva muscolare in funzione dell’angolo di flessione del ginocchio. I puntini sono i risultati sperimentali medi con le relative deviazioni standard; la linea continua è un’interpolazione effettuata con una funzio ne seno (andamento del braccio di leva per un’articolazione a cerniera perfetta). Si noti che il momento articolare massimo (l’angolo ottimo per la generazione di forza muscolare) si ha a 120° di flessione, quindi non coincide né con l’angolo per il quale si ha la massima forza prodotta (160°), né con quello per il quale si ha il massimo braccio di leva (90°). La produzione del momento articolare in questo sistema non è definito solo dalle proprietà muscolari o da quelle articolari, ma risulta essere il risultato dell’ interazione tra questi due sistemi. La struttura generale dei generatori muscolo -scheletrici di momento non è ancora nota. La comprensione delle complesse interazioni tra muscoli ed articolazioni è ancora allo stato iniziale 22 Figura 13 A: La lunghezza delle frecce curve sul ginocchio rappresenta l’entità del momento articolare agente; la linea verticale è il braccio di leva. B: Confronto tra le proprietà cinematiche e muscolari degli arti inferiori di una rana. 23 Ampiezza e velocità di movimento in funzione della struttura muscolare Muscoli composti da fibre lunghe permettono ad un’articolazione un’ampiezza di movimento maggiore. La figura 14 mostra il perché. Figura 14 Per aumentare l’ampiezza di movimento di un’articolazione occorre avere fibre lunghe (che possono allungarsi di più essendo formate da un numero maggiore di sarcomeri in serie) in modo che un notevole allungamento si possa distribuire su tutti i sarcomeri, ognuno dei qu ali subirà un piccolo allungamento. A: Un muscolo con fibre corte permette un’ampiezza di movimento di 40° B: Fibre più lunghe, formate da un numero maggiore di sarcomeri in serie, aumentano l’ampiezza di movimento fino a 75° Il rapporto tra lun ghezza delle fibre e braccio di leva (che dipende dall’angolo dell’articolazione) definirà l’entità dell’allungamento di un sarcomero durante una rotazione articolare e determinerà l’influenza del muscolo sul meccanismo di generazione del momento relativam ente all’articolazione considerata: fibre lunghe rispetto al braccio di leva implicano piccole variazioni di lunghezza dei sarcomeri durante il movimento, quindi le variazioni di forza prodotta (proporzionali alla lunghezza dei sarcomeri) saranno piccole. Il contributo all’aumento del momento articolare sarà perciò piccolo anch’esso. Se invece le fibre sono corte ed il braccio di leva è lungo, i sarcomeri subiranno notevoli allungamenti (dato che le fibre sono formate da pochi sarcomeri), quindi la forza prodotta varierà in modo significativo e contribuirà notevolmente alla generazione del momento. Si può pensare a questo punto che i muscoli composti da fibre lunghe siano associati con le articolazioni che permettono un’ampia escursione di movimento. Ques to in generale non è vero. L’entità dell’allungamento delle fibre muscolari dipende fortemente dal braccio di leva. In figura 15 due “muscoli” uguali sono stati attaccati in modo da avere bracci di leva differenti: a parità di movimento articolare, il mu scolo A subirà una variazione di lunghezza minore rispetto al muscolo B, consentendo un’escursione articolare maggiore; e questo nonostante i due muscoli siano equivalenti. A questo punto possiamo dire che i muscoli strutturati in modo da potersi contrarr e velocemente (fibre lunghe), possono non dare luogo a movimenti veloci se posizionati in modo da avere un grosso braccio di leva. In questo caso infatti, questi muscoli risulterebbero adatti per la produzione di momento articolare e notevoli accorciament i provocherebbero piccoli spostamenti. 24 Allo stesso modo, un muscolo con grande PCSA (in grado di produrre tensioni notevoli) posizionato in modo da presentare un piccolo braccio di leva, può dare luogo a movimenti articolari molto veloci. La funzionalità f isiologica di un muscolo è quindi identificata dall’azione sinergica della sua struttura e della sua posizione. Figura 15 Effetto del braccio di leva muscolare sull’escursione articolare. A: L’escursione articolare risulta di 40° B: L’aumento del braccio di leva provoca una diminuzione di 25° dell’escursione articolare C: Comparazione della forza prodotta in funzione dell’angolo articolare per i due muscoli Dipendenza delle prop rietà contrattili dalla disposizione delle fibre Abbiamo visto come la struttura muscolare influenzi le proprietà del muscolo nel generare forza. Consideriamo due muscoli di massa totale confrontabile e composti da fibre di lunghezza diversa ma con le med esime caratteristiche forza/allungamento e forza/velocità (vedi figura 16). La figura 17 mostra le caratteristiche contrattili macroscopiche dei due muscoli: anche se le fibre costituenti hanno proprietà equivalenti, i due muscoli si comportano in maniera differente a causa della diversa disposizione delle fibre. Il muscolo B grazie alle sue fibre più lunghe, può subire allungamenti maggiori rispetto al muscolo A. D’altra parte il muscolo A, grazie alla sua maggiore PCSA, è in grado di produrre una tension e maggiore rispetto a quella prodotta da B. Si può quindi concludere che il muscolo A è predisposto per la produzione di forza, mentre il muscolo B è adatto per subire notevoli allungamenti. Braccio di leva piccolo Braccio di leva grande 25 Figura 16 Muscoli composti da fibre con proprietà contrattili equivalenti ma disposte in modo differente. A: Muscolo pennato (angolo di pennazione di circa 30°) con fibre corte e grossa PCSA B: Muscolo a fibre lunghe e pressoché parallele, con piccola PCSA Figura 17 A: Caratteristiche lunghezza/tensione per i due muscoli di figura 16 B: Caratteristiche velocità di contrazione/forza massima esercitabile per i due muscoli di figura 16 Per quanto riguarda la velocità di contrazione, il muscolo B, grazie alla lunghezza delle sue f ibre, ha una velocità di contrazione massima maggiore rispetto a quella di A. Si noti che i sarcomeri che costituiscono le fibre di entrambi i muscoli si contraggono con la stessa velocità. Il muscolo B è formato però da più sarcomeri in serie che determ inano una velocità di contrazione totale maggiore. La tabella 1 riassume i principali parametri muscolari e le rispettive proprietà influenzate. Tabella 1 Parametro Proprietà influenzata Lunghezza delle fibre Velocità di contrazione ed escursione di movi mento Area sezione delle fibre Forza esercitabile dalla fibra PCSA Massima forza e momento esercitabili dal muscolo Lunghezza tendine Aumento escursione del movimento articolare, smorzamento tensione e immagazzinamento di energia Braccio di leva Momento massimo Rapporto lunghezza tendine/lunghezza fibre Rigidità dell’unità muscolo -tendinea Rapporto lunghezza fibre/braccio di leva Influenza del muscolo sulla produzione di momento Distribuzione dei tipi di fibre nel muscolo Velocità e resistenza muscolare Distribuzione delle unità motorie Controllo muscolare 26 Momento isocinetico: influenza della lunghezza delle fibre e della PCSA Il momento prodotto dai muscoli durante un movimento articolare svolto a velocità costante si chiama momento isocinetico . Questa grandezza viene rilevata da strumenti chiamati dinamometri isocinetici ed è utilizzata per determinare l’efficacia di procedure chirurgiche e riabilitative a carico del sistema muscolo -scheletrico nonché per quantificare le prestazioni sportive. Se la velocità di movimento è mantenuta a zero, si ottiene il momento isometrico per la posizione assegnata. Fissata la velocità di esecuzione del movimento si otterrà una curva momento/angolo associata alla velocità imposta. Vediamo come in terpretare questi dati isocinetici. Si può assumere ragionevolmente che le variazioni delle curve momento/angolo al variare della velocità di movimento imposta, siano dovute solamente a variazioni delle forze muscolari e non dipendano dalle caratteristiche cinematiche dell’articolazione considerata. Il momento generato durante una contrazione concentrica (con diminuzione di lunghezza del muscolo) isocinetica dovrà essere necessariamente minore di quello sviluppato durante una contrazione isometrica e dipend erà comunque dalla lunghezza delle fibre costituenti e dalla PCSA del muscolo considerato. Durante il movimento isocinetico è l’articolazione che si muove a velocità costante; il muscolo corrispondente varierà la sua lunghezza in maniera dipendente dalla c inematica articolare, quindi si accorcerà con velocità non necessariamente costante. La figura 18 mostra la curva forza/velocità per due muscoli con proprietà contrattili (sarcomeri) equivalenti ma con fibre di lunghezza diversa. Ogni punto della curva è ricavato misurando la forza esercitata dal muscolo ad una lunghezza fissa l0 mentre si accorcia alla velocità in esame. Si nota che il muscolo con fibre più lunghe è in grado di sviluppare più forza a parità di velocità. Questo perché, essendo formato da un numero maggiore di sarcomeri in serie, ogni sarcomero viene sottoposto ad un accorciamento relativo minore rispetto a quello subito dai sarcomeri del muscolo con fibre corte. Da questi dati possiamo vedere che non sono solo i muscoli con una PCSA grand e ad essere adatti per la produzione di forza; anche i muscoli con fibre lunghe possono produrre tensione efficacemente durante il movimento. Aumentare la PCSA o la lunghezza delle fibre costituenti il muscolo, sembrano quindi essere due tecniche equivalen ti per aumentare la forza esercitabile. Figura 18 Curva forza/velocità per due muscoli con mosti da fibre con lunghezza differente. La linea verticale mostra che ad una data velocità, il muscolo con fibre più lunghe genera una tensione maggior e. Concludendo: per analizzare la reale funzionalità di un muscolo, occorre esaminarne tutti i suoi aspetti fisiologici; non basta basarsi su poche osservazioni anatomiche. La relazione momento isocinetico/velocità è stata studiata estensivamente; i dati ottenuti sono utilizzati per valutare la funzionalità degli arti inferiori. La figura 19 riporta i risultati ottenuti da Perrine e Edgerton (1978). 27 Figura 19 Curve momento isocinetico/velocità per i muscoli quadricipite (t riangoli vuoti), muscoli posteriori della coscia (bicipite femorale, semitendinoso e semimembranoso insieme – triangoli pieni), flessori plantari (cerchietti vuoti), dorsiflessori plantari (cerchietti pieni). Le linee tratteggiate rappresentano la relazio ne teorica forza/velocità di Hill. Per piccole velocità, le misure rilevate risultano minori di quelle teoriche. Come si nota, le curve seguono il comportamento osservato per i muscoli isolati, tranne per velocità prossime allo zero, dove si ri leva un momento minore. Questo può essere attribuito ad un meccanismo di sicurezza del sistema nervoso centrale (non presente nei muscoli esaminati “in vitro”) per prevenire il sovraccarico del muscolo. Limitazioni dei dinamometri isocinetici Nelle app licazioni reali, bisogna tener conto di diversi aspetti che limitano la possibilità di ottenere informazioni affidabili sulle proprietà fisiologiche muscolari, utilizzando dinamometri isocinetici. Occorre tener conto del tempo impiegato per il reclutamento delle fibre partecipanti alla contrazione: questo ritardo varia da 50 a 200 ms, quindi occorre evitare l’utilizzo di dati rilevati immediatamente dopo l’inizio della contrazione. Se vengono considerate alte velocità, questo intervallo di tempo può costit uire la maggior parte dell’intervallo di osservazione. Prima di giungere a regime, l’apparato muscolo -scheletrico deve accelerare da una posizione stazionaria fino ad arrivare alla velocità assegnata; quindi non sta esercitando il massimo momento articola re. Occorre anche tener conto di eventuali impatti degli arti in esame con l’apparato di rilevazione; questi contatti introducono artefatti nei dati sperimentali ottenuti.