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Biomedical Engineering - Elettronica Biomedica

Completed notes of the course

Complete course

STRUMENTI BIOMEDICI Strumento di misura = Dispositivo in grado di effettuare delle misure quantitative (o a volte anche qualitative) di grandezze. Strumento di misura biomedico = Dispositivo in grado di effettuare delle misure quantitative (o a volte anche qualitative) di grandezze di interesse biologico o medico. Es: fonendoscopio, termometro clinico. In ambito biomedico quel che cambia è l’interesse, il campo dove andiamo a misurare  su organismo vivente. Strumentazione biomedica = L’uso di dispositivi meccanici ed elettronici nelle diagnosi mediche, nelle terapie o nelle misure. La strumentazione biomedica rientra nel campo della bioingegneria. Questo tipo di strumentazione consente la misura di tutte le variabili del corpo umano per utilizzarle nelle diagnosi e inoltre permette a determinati dispositivi di essere utilizzati nelle terapie. Caratteristiche principali di tali macchine sono l’effettuare MISURE di alcune variabili corporee per l’uso diagnostico e la preformazione di TERAPIA. STRUTTURA PAZIENTE (struttura biologica)  SENSING (trasduzione da variabile fisica a parametro elettrico)  INTERFACE (elaborazione segnale)  COMPUTAZIONE (agisce su paziente). ATTUATORE (agisce su paziente – terapia) Sensing  Acquisizione delle variabili. Tutti gli strumenti che si interfacciano con il materiale biologico richiedono un contatto diretto o indiretto con il corpo del paziente (ad esempio raggi X, campi magnetici, sonde…). Per acquisire le variabili sono necessari sensori che devono: • Riconoscere in modo appropriato parametri biochimici, bioelettrici o biofisici • Soddisfare i requisiti in termini di risposta in frequenza dettati dal contenuto in frequenza delle variabili fisiologiche da misurare: la banda passante dello strumento deve far passare il contenuto in frequenza proprio del segnale • Garantire un interfacciamento sicura con il materiale biologico Esempio: termometro. Il sensore trasforma la temperatura in variazione della resistenza. Devo restituire info su temperatura. Si trasforma la variazione di resistenza in un numero. Funzioni di trasferimento che in uscita danno qualcosa di diverso. Il sensing potrebbe anche non partire dal paziente ma da un sistema di monitoraggio. Esistono delle pompe di infusione, che sono degli strumenti che permettono di far ricevere al paziente delle dosi di farmaco in modo costante nel tempo. Si mette una grossa siringa all’interno della macchina, dentro c’è un grosso motore che preme sulla siringa in modo che da questa esca il farmaco che deve essere dato. Non devono avere info sul paziente, ma bisogna capire quando il motore o qualche parte del dispositivo non sta funzionando più. In questo caso la parte di sensing non ha a che fare con il monitoraggio del paziente, ma con il monitoraggio del dispositivo. Actuation  se la strumentazione deve erogare anche la terapia che è stata elaborata, allora è presente un doppio flusso di dati che, una volta elaborati, interagiscono nuovamente con l’interfaccia e infine arrivano all’attuatore che deve: • Condurre agenti esterni per contatto diretto o per via indiretta • Controllare parametri biochimici, bioelettrici o biofisici • Garantire un’interfaccia sicura con il materiale biologico Interface  Circuito di preelaborazione del segnale. Il tipo di interfaccia è determinato dal sensore utilizzato. Si tratta di un circuito di amplificazione e filtraggio del segnale. L’interfaccia deve:  Far combaciare le caratteristiche elettriche e dinamiche del sensore/attuatore con l’unità computazionale  Preservare il S/N del sensore  Preservare l’efficienza dell’attuatore  Preservare e appropriatamente imitare il signal badwith del sensore/attuatore  Fornire un’interfaccia sicura con il sensore e/o attuatore  Fornire un’interfaccia sicura con l’unità computazionale Computation  Blocco che esercita semplici funzioni, come calibrazione e conversione, oppure operazioni complesse. Eventualmente possono esserci degli stadi per elaborazioni successive. L’unità di computazione deve: • Garantire l’interfaccia primaria con l’utilizzatore finale (gli utilizzatori degli strumenti biomedicali sono comunemente uomini, medici e infermieri). • Garantire un pieno controllo di tutto il sistema • Garantire il salvataggio dei dati e i servizi di comunicazione con il sistema • Garantire un’elaborazione dei segnali corretta • Avvisare l’utente in presenza di valori anomali o di parametri fisiologici alterati (sistema di allarme) • Mantenere sicuro l’operato di tutto il sistema • Comunicare all’utente perdite di performance • Se possibile, supportare l’utente nella classificazione dei dati (ad esempio nell’identificazione di specifiche condizioni patologiche) L’unità di elaborazione : deve fornire la user interface. Deve consentire il controllo completo del sistema, cioè avere la possibilità di regolare le performance dei diversi blocchi funzionali del dispositivo. Deve poter registrare informazioni e comunicarle ad altri dispositivi (es. monitor da terapia intensiva) o alla cartella clinica di un paziente. L’elaborazione del segnale è parte dell’unità di elaborazione. È una parte essenziale per poter estrarre la variabile di interesse dal segnale che arriva dal sensore. Per farlo è necessario attuare per esempio un filtraggio o altre elaborazioni. L’unità di elaborazione deve essere in grado anche di generare degli allarmi. Deve garantire che il dispositivo operi in una condizione sicura ed essere in grado di comunicare se il dispositivo mostra perdite di performance. STRUTTURA GENERALIZZATA DI UNO STRUMENTO BIOMEDICO Partiamo dalla variabile fisica che dobbiamo misurare. Il sensore traduce la variabile fisica tramite una o più trasduzioni in una variabile di tipo elettrico. Questi segnali devono essere adattati per poi essere elaborati (amplificati, filtrati etc.). Le due funzioni primarie dell’interfaccia sono l’amplificazione del segnale e il filtraggio (front-end interface). Il display rappresenta l’interfaccia utente. Ci consente di visualizzare l’informazione con caratteristiche grafiche efficaci. La fruibilità dipende molto dalle caratteristiche grafiche del display. È una caratteristica molto importante. Tra le varie funzioni importanti del blocco di elaborazione (signal processing) c’è quella di registrare e comunicare informazioni. Questa funzione è gestita da un hardware dedicato. Molti segnali vengono comunicati alla cartella sanitaria digitale e rimangono lì in modo che i medici abbiano accesso a dati completi. Un ulteriore blocco necessario per far funzionare correttamente i sensori è quello dei generatori di radiazione (campo elettrico, campo magnetico, corrente, luce LED). Esempio, pulsossimetro: si misura la saturazione dell’ossigeno basandosi sul diverso assorbimento di una radiazione inviata tra HbO2 e Hb . Questa struttura è generalizzata, ovviamente ogni singolo dispositivo ha una struttura più o meno complessa. Questa struttura generalizzata cerca di includere tutti i tipi di dispositivi, qualsiasi dispositivo può essere descritto tramite un sottoinsieme di questa struttura generalizzata. Aggiungiamo un blocco di controllo e feedback che consente di effettuare una regolazione di tutti i blocchi che ci sono a monte (es. pulsossimetria). Tutti i blocchi infatti vengono gestiti da questo controllo in retroazione, garantito da microprocessori che controllano e modificano il funzionamento di tutti i blocchi. Devo ad esempio garantire che un pulsossimetro funzioni sempre, indipendentemente dalla porzione di tessuto da attraversare che cambia da paziente a paziente. Questo tipo di retroazione può aumentare enormemente le caratteristiche di performance del dispositivo, grazie al feedback e alla modulazione degli altri blocchi (radiazione, amplificazione segnale, banda passante del segnale etc.). Questo blocco per essere implementato richiede una certa capacità di calcolo, una certa capacità di elaborazione del segnale. Un altro aspetto particolare e molto comune nei dispositivi di applicazione biomedica è il blocco del segnale di calibrazione. Dobbiamo essere sicuri che il dispositivo stia mantenendo le sue caratteristiche funzionali e di accuratezza. Il segnale deve essere affidabile. Normalmente si realizzano dei sistemi che in più punti introducono nel sistema dei segnali di calibrazione. Questi meccanismi servono per mettere in luce in maniera trasparente e periodica delle anomalie di misurazione del dispositivo. Come faccio ad accorgermi che il mio dispositivo non sta funzionando nel modo corretto? Capiamo se il sistema sta funzionando utilizzando un segnale noto, utile a calibrare i segnali in ingresso. Un altro elemento importante è il Power supply, cioè l’alimentazione. Può essere costituita da tensioni e correnti molto basse come da correnti e tensioni più elevate. Il ruolo fondamentale del blocco di alimentazione è quello di garantire che tutti i blocchi ricevano l’alimentazione necessaria al funzionamento. Questo elemento ha delle criticità dato che un guasto all’alimentazione porta alla perdita di TUTTE le funzioni del dispositivo. Normalmente i dispositivi vengono alimentati dalla rete elettrica. Elemento critico anche perché si interfaccia con il resto del mondo attraverso la corrente elettrica, poco controllata (ad esempio, presa corrente). Quindi il dispositivo deve essere progettato per non guastarsi e per garantire un isolamento che, in caso ad esempio di temporali, non faccia arrivare il guasto al paziente. Quindi in termine di alimentazione, abbiamo caratteristiche migliore sui dispositivi biomedici. COMPONENTI DI UNO STRUMENTO BIOMEDICO ► Catena di misura • Grandezza da misurare • Generatori di energia per la trasduzione primaria • Sensore • Generatore di segnali di calibrazione • Condizionamento del segnale (front-end) • Circuiti di elaborazione del segnale • Circuiti di retroazione e controllo • Dispositivi di presentazione del risultato (display) ► Sistemi ausiliari • Alimentatori • Dispositivi di memorizzazione • Interfacciamento con altri sistemi e trasmissione dati CIRCUITI DI ELABORAZIONE DEL SEGNALE In uno strumento biomedico è sempre presente un blocco funzionale che esegue tutte le operazioni necessarie per estrarre dai segnali provenienti dai sensori l’informazione utile che dev’essere fornita all’uscita dello strumento. Alcune operazioni che vengono svolte da questo blocco funzionale sono: - Calibrazione e compensazione di effetti indesiderati sulla misura (non linearità, dipendenza da alti ingressi, …) - Calcolo di medie e altri parametri (massimo, minimo, …) - Analisi spettrale - Applicazione di algoritmi specifici (algoritmi di classificazione, …) I blocchi di elaborazione caratterizzano spesso l’intero sistema di misura e possono essere suddivisi in due macrocategorie: SISTEMI ANALOGICI e SISTEMI DIGITALI . Per il Front-end si usano sistemi analogici; la stragrande maggioranza dei dispositivi si basa però sul digitale  conversione A/D. SISTEMI ANALOGICI I sistemi analogici prendono questo nome perché lavorano con/su segnali analogici. Segnale che tramite la sua ampiezza (o altri parametri) rappresenta direttamente il valore di grandezze fisiche o comunque valori numerici che possono assumere tutti gli infiniti valori in un certo intervallo finito (range). Molto spesso ci sono degli standard per i valori dei segnali analogici. I segnali analogici destinati a rappresentare delle misure sono solitamente condizionati affinché il loro campo di valori rientri in uno dei seguenti intervalli: 0/+10V, -5V/+5V, 0/-20mA, 4/-20mA. Questo perché la standardizzazione facilita il reperimento sul mercato e l’uso di dispositivi come convertitori A/D, registratori, regolatori, attuatori e visualizzatori. La corrispondenza tra i valori del segnale e l’informazione rappresentata è descritta da coefficienti di funzioni analitiche (es. relazione lineare, quadratica, esponenziale) o tabelle chiamate look-up table (tabella che permette di associare continuamente ad ogni ammissibile combinazione di dati in ingresso una corrispondente, non necessariamente univoca, configurazione di dati in uscita ). Uso ad esempio range di valori di tensione in uscita che si rifanno a dei valori di pressione. Trovo relazione che unisce il valore del segnale ed il valore che voglio rappresentare. Nel caso ideale la relazione è lineare, ma non sempre è così. Ci possono essere funzioni caratterizzate per punti. Si utilizzano spesso segnali con ‘zero vivo’ per riconoscere la condizione anomala di sensore non collegato o non alimentato. Questi segnali presentano un valore diverso da zero per tutto il campo di valori possibili, ad esempio sommando al segnale un valore di offset. VANTAGGI E SVANTAGGI DEI SEGNALI ANALOGICI: Funzionalità intrinseca: dipende da come il dispositivo è stato costruito. Ad esempio, amplificatore invertente il cui guadagno dipende dalla configurazione scelta. La funzionalità intrinseca di una macchina è che venga eseguito un programma. Cambiando programma possiamo cambiare funzione  funzionalità programmata. PRO - La maggior parte dei sensori si basano su fenomeni fisici che sono associati alla generazione di segnali analogici (es. cambia la resistenza, cambia la carica etc.). - Eventuali perturbazioni deformano il segnale significa che nel momento in cui realizzo il dispositivo, se c’è un elemento di rumore, questo rumore di tipo elettrico può alterare il segnale ma questa alterazione è proporzionale all’evento che causa l’alterazione stessa - I segnali analogici sono segnali estremamente ricchi di contenuto informativo CONTRO - Quando il numero di elaborazioni diventa consistente, gli errori possono essere rilevanti. Nel tempo, inoltre, le caratteristiche fisiche dei componenti analogici possono cambiare. Anche piccoli disturbi possono alterare il contenuto informativo del segnale, anche se l’ampiezza di una perturbazione è piccola, questa introduce una distorsione del contenuto informativo che non può essere rimossa. Poco preciso: ad esempio operazionale non invertente il cui guadagno dipende dalla disposizione e dal tipo di resistenze. Devo comprare resistore che abbia le stesse proprietà calcolate, ma non lo troverò mai identico  tolleranza, discrepanza. Ho anche problema relativo alla stabilità del segnale: resistenza che può cambiare con la temperatura  poco stabile nel tempo. - posso scrivere un valore, qualsiasi sia il dispositivo di memoria, questo valore nel tempo cambia. È impossibile realizzare memorie permanenti: ciascuna operazione introduce un piccolo errore che verrà progressivamente amplificato fino ad ottenere un rumore troppo grande. - tutti questi dispositivi introducono una piccola alterazione. Se ho un unico blocco non ho grosse difficoltà, ma se devo collegare tanti dispositivi in cascata, ogni blocco introduce un’alterazione che si sommeranno e verranno amplificate dalle elaborazioni successive. Il rapporto segnale rumore peggiorerà rendendo alla fine indistinguibile l’informazione iniziale dal rumore. SISTEMI DIGITALI I sistemi digitali prendono questo nome perché lavorano con/su segnali digitali. Segnale digitale  segnale che rappresenta un’informazione tramite simboli di un alfabeto finito mediante una corrispondenza convenzionale tra simboli ed i valori (o intervalli di valori) assunti dal segnale. È un metodo di rappresentazione che richiede un numero elevatissimo di simboli. Poiché per motivi tecnici si adotta normalmente un numero estremamente limitato di intervalli, ovvero si utilizza un alfabeto a cardinalità (pari a 2 nel caso binario) troppo bassa per la maggior parte delle applicazioni, si utilizza un’opportuna CODIFICA nella quale ogni valore viene rappresentato da una successione di digit (= simboli dell’alfabeto). In figura possiamo vedere che, ad esempio, da 0 a 1.5V utilizzo il simbolo A. Informazioni caratterizzate da una certa ricchezza di valori (con elevata cardinalità) richiedono spesso tanti segnali digitali (digit) per la loro rappresentazione, in particolare: Example: if we want to be able to represent 950 different values (from 0 to 949 in decimal coding): in decimal code we need: N = trunc (log 10 (950) +1 bit = trunc (2.98) + 1 = 3 decimal figures in binary code we need: N = trunc (log 2 (950) +1 bit = trunc (9.89) + 1 = 10 bits (digital figures) L’insieme dei simboli si usa per rappresentare l’intero segnale. Bisogna limitare il numero di simboli per migliorare la rappresentazione del segnale. I segnali digitali binari sono caratterizzati da due soli intervalli di valori chiamati alto (HIGH) e basso (LOW) a cui sono convenzionalmente associati i significati di 1 (vero, true) e 0 (falso, false). Nell’intervallo di indeterminazione si accetta che il valore rappresentato non sia precisato a priori. Immaginiamo che nell’immagine utilizzo L da 0 a 2V e H da 3 a 5V. C’è una zona che non deve essere toccata, che non uso (da 2 a 3). Non dovrebbe mai esserci un valore di tensione che cade in questa zona, perché sarebbe molto difficile da decifrare: basterebbe pochissimo per trovarci da una parte all’altra della codifica. Tuttavia, se comunque c’è del rumore, il rischio che un valore venga codificato in modo errato c’è lo stesso. Quindi utilizzo delle specifiche diverse tra quelli che generano il segnale e quelli che lo leggono. Ad esempio, posso dire a chi genera di non fare tutto l’intervallo da 0 a 2V, ma di fare un poco meno in modo che se anche del rumore si somma al segnale, questo difficilmente lo farà andare all’intervallo superiore. Chi genera non può fare più di 1; per chi riceve, se riceve un valore sotto il 2 è L. Questa differenza viene chiamata margine di rumore. La differenza tra i valori garantiti e richiesti costituisce il MARGINE DI RUMORE (=livello massimo di rumore che, sovrapponendosi al segnale d’ingresso, fornisce ancora il corretto valore del segnale in uscita)  è il massimo livello di rumore che non influenza il segnale in uscita. Nel nostro esempio, GuL è 1 e RiL è 2  margine di errore pari a 1. Finché il rumore non è maggiore di 1V, il segnale viene letto in modo corretto. Questa caratteristica ci permette di eliminare la componente del rumore che affligge ogni segnale convertito in digitale. Il segnale viene in questo modo ripulito dal rumore generato dalla codifica. Ho quindi possibilità di fare numero illimitato di operazioni senza alterare il contenuto. Per H il discorso è duale. Esempio: 3.3V digital logic VANTAGGI E SVANTAGGI DEI SEGNALI DIGITALI: Vantaggi: - 2 cifre  2 bit  4 segnali rappresentati  crescita logaritmica  pochi simboli, tante combinazioni - Semplicità circuiti: non serve operazionale - Memorizzazione: in un condensatore ho leggera perdita progressiva dell’informazione, che però non determinerà errori nella lettura del segnale fino a che scende sotto un determinato valore che sarebbe codificato in un altro modo. Svantaggi: - Errore che può avere impatto importante se trasmesso su cifra rappresentante segnali elevati - Tanti bit: prima con un filo trasmettevo infiniti valori, ora no - Conversione: convertitore A/D che aumenta i costi SISTEMI DI ELABORAZIONE DIGITALE A MICROPROCESSORE Caratterizzano i sistemi a funzionalità programmata , ovvero sistemi la cui funzione si ottiene facendo eseguire un programma ad una macchina programmabile. Si differenziano dai sistemi a funzionalità intrinseca , cioè da quelle macchine il cui comportamento deriva dalla loro struttura, ovvero dal modo in cui esse sono costruite (es. circuiti analogici). Macchine che hanno un programma più o meno complesso che decide come cambiare il segnale. Esempio: amplificatore operazionale. Guardo il circuito, vedo che c’è resistenza su retroazione, ingresso o massa, vedo i valori di resistenza e facendo i calcoli so precisamente cosa mi aspetto in uscita, confrontandomi con lo schematico. Poi guardo il computer, e anche confrontandomi con lo schematico, non potrò mai capire cosa succede sullo schermo del calcolatore a meno che non abbiamo anche informazioni sul programma che si sta eseguendo. Quindi, un elaboratore elettronico è una macchina la cui funzionalità intrinseca è quella di eseguire un programma. Questo programma modifica la funzionalità globale del sistema. Il vantaggio di questi dispositivi è che consentono di realizzare delle macchine caratterizzate non solo da Hardware , ma anche da Software (programma). Quindi in questi casi S e H sono interconnessi per produrre la funzione finale. I programmi di base che servono a far fare all’hardware una funzione si chiamano Firmware . Conviene utilizzare una macchina a funzionalità programmata perché consente dei vantaggi chiave: • PROGRAMMABILITÀ: lo stesso circuito può eseguire compiti diversi modificando solo il programma • RIPETIBILITÀ: il tempo, la temperatura e altri parametri possono alterare i valori dei componenti discreti (resistenze, capacità, induttanze) alterando quindi il comportamento dei sistemi a funzionalità intrinseca ma non quelli dei sistemi a funzionalità programmata: funzionamento a prescindere dall’ambiente. • RIPRODUCIBILITÀ DEI CIRCUITI: due circuiti uguali a funzionalità intrinseca difficilmente si comporteranno esattamente nello stesso modo a causa delle tolleranze dei componenti. I circuiti a funzionalità programmata non presentano questo problema e quindi non hanno bisogno di tarature specifiche per ogni circuito. Esempio: circuito di controllo della temperatura di un incubatore Dispositivo che deve essere riscaldato o raffreddato in base alla temperatura che si vuole raggiungere. Quindi sensore che cambierà la resistenza R in base alla temperatura T. Amplifico, filtro l’informazione e confronto questa informazione con un potenziometro  se cambio la lancetta cambio R e in uscita capiamo se la T raggiunta è minore, maggiore o uguale a quella che vogliamo raggiungere. Capisco quindi se accendere o meno la R. In questo corso non tratteremo la parte di sensing, ma affronteremo la parte relativa al front-end. La prima parte è analogica perché quasi tutti i sensori producono spontaneamente un segnale analogico. CONDIZIONAMENTO DEL SEGNALE (FRONT-END) Il front-end è un circuito necessario per trattare i segnali analogici prelevati dai sensori, quindi filtrare e amplificare gli stessi segnali prima della conversione A/D o, più in generale, prima di elaborarli in modo corretto. Il front-end sfrutta quindi tecnologie analogiche. Dobbiamo essere sicuri che quando misuriamo un segnale non alteriamo le caratteristiche del sensore. Bisogna standardizzare quel che c’è dentro ai microprocessori per mantenere bassi i costi a parità di prestazione. Le funzioni principali che devono essere implementate da un front-end sono: - Amplificazione. - Filtraggio (serve per delimitare il contenuto in frequenza del segnale stesso – eliminazione frequenze pericolose). - Adattamento di impedenza (serve per capire quale sia l’impatto di connettere un blocco a un altro). - Isolamento (isolamento elettrico, quando si deve garantire che anche in caso di guasto non ci sia la possibilità che tensioni potenzialmente pericolose presenti all’interno del dispositivo possano raggiungere il limite). - Campionamento (presente solo in alcune strumentazioni in cui è necessario applicare la conversione analogico/digitale).  Adattamento di impedenza Problema dato dal fatto che, nel momento in cui collego un blocco che produce un segnale analogico ad un sistema di misura, ho un trasferimento di potenza oltre all’informazione. Questo vuol dire che ogni volta che collego questi fili non solo c’è un potenziale elettrico, ma ci sarà anche un passaggio di corrente. Questo può creare problemi nell’accuratezza del trasferimento del segnale. Per rappresentare e studiare questo problema utilizziamo un modello. Modello formato da generatore di tensione, tensione che è sempre quella impostata qualunque cosa succeda. Questo non è un generatore ideale: prendo una pila, collego i due poli creando un cortocircuito  idealmente avrei corrente infinita, ma non è così nella realtà. Questo per la presenza di un’impedenza interna (Zgen) che sarà più il più bassa possibile. La legge di Ohm mi dice che se ho una resistenza così piccola, avrò nel circuito cortocircuitato una corrente molto grande, che produrrà calore nella resistenza per effetto Joule, ed è per questo che poi la pila esploderà. Questo modello altro non è che un modello equivalente di Thevenin, e quindi non vale solo per le pile, ma vale per qualsiasi circuito lineare. Analizziamo ora il secondo circuito. Adesso il circuito prende in ingresso la tensione Vin. Non ci sarà un generatore di tensione, perché un misuratore. Ci sarà però una resistenza tra i due terminali del nostro sistema di misura, perché nel momento in cui collego questo sistema, qualunque dispositivo ha un’impedenza di ingresso che non può essere infinita. Zmis misura cosa c’è ai suoi capi (Vin). Quindi, Vin è quello che possiamo misurare con il nostro sistema di misura; Vgen è quello prodotto dal nostro sensore. Quando collego sistema di misura con sistema che produce tensione, chiudo il circuito e posso calcolare la corrente circolante con la legge di Ohm: I = Vin/(Zmis + Zgen). A questo punto ottengo: L’impatto delle due impedenze dipende dalla grandezza di una delle due impedenze rispetto all’altra, essendo che il loro impatto sul rapporto tra Vin e Vgen è determinato dal loro rapporto. Questo rapporto sarà diverso da 1, e questo non va bene. Mi allontano da 1 più è grande il rapporto tra le impedenze. Per avere un rapporto nullo devo avere Zgen più bassa possibile e Zmis più alta possibile. Più l’impedenza del sistema di misura è grande, meno sarà la corrente che scorre nel circuito, più la Zgen è piccola, minore sarà la caduta di tensione ai suoi capi. Abbiamo dunque bisogno che l’impedenza del sistema del generatore sia piccola, dato che Vin è uguale a Vgen meno la caduta di tensione su Zgen e che l’impedenza del sistema di misura sia più grande possibile, dal momento che a me interessa il rapporto tra Vin e Vgen. Affinché io riesca a non alterare la tensione Vgen applicando un sistema di misura, ho bisogno che Zmis sia molto molto grande rispetto alla Zgen che deve essere molto molto piccola. Se non considero questo commetto un errore. Un esempio può essere rappresentato da un potenziometro. Questo possiede 3 terminali, che rappresentano l’inizio e la fine della resistenza del potenziometro stesso; il terzo viene chiamato cursore ed è il terminale che preleva tensione ottenuta dal partitore resistivo, definito come la parte di resistenza che sta tra un terminale e il cursore e la parte di resistenza tra il cursore e l’altro terminale. Il potenziometro è costituito da una resistenza realizzata come una striscia di materiale resistivo con 2 terminali estremi + un cursore che striscia sopra. Spostando il cursore definiamo 2 resistenze: quella con il terminale superiore e quella con il terminale inferiore. Queste 2 resistenze sono sempre tali per cui la loro somma è la resistenza complessiva. Quindi questo mi consente di creare un partitore resistivo, il cui rapporto tra le resistenze è proporzionale alla posizione del cursore. Otterremo una relazione lineare tra posizione del cursore e uscita in tensione. Tuttavia, non risolviamo il nostro problema perché quando colleghiamo il nostro sistema di misura, attacchiamo Zmis. Le due resistenze del partitore sono in serie, quindi circolerà la stessa corrente; ma quando colleghiamo il sistema di misurazione aggiungiamo una resistenza Rm in parallelo a Ri che modifica la tensione e0 che si vuole misurare. Nel grafico è mostrata la relazione non lineare che intercorre fra tensioni e posizione del cursore. Se Rm è altissima, ho una relazione lineare; man mano che riduco Rm la relazione tra posizione del cursore e tensione in uscita non è più una retta ma si incurvisce, che è qualcosa non che non vogliamo.  Amplificazione L’amplificazione serve a modificare il livello del segnale in uscita dal sensore (solitamente molto piccolo) per portarlo a valori standard per campionatori o sistemi di visualizzazione (come display o altri strumenti). Il sistema di amplificazione ha le seguenti caratteristiche: - Guadagno. - Banda passante , ossia il range di frequenze per cui l’amplificatore riesce a soddisfare i suoi requisiti  non esistono dispositivi in grado di gestire bande infinite - Ingresso differenziale o singolo: a seconda che il circuito debba amplificare la differenza tra due tensioni o tra una tensione e la massa, esso sarà noto come amplificatore a ingresso differenziale o singolo; - Impedenza d’ingresso e uscita: impedenza di ingresso infinita e uscita pari a zero (idealmente) --> problema precedente - Tempo di assestamento (settling time). - Stabilità e accuratezza. - Compensazione errori di offset. Le ultime tre caratteristiche sono tipicamente non lineari e caratterizzano la differenza tra il dispositivo reale e le sue caratteristiche ideali. Tutte queste caratteristiche sono importanti perché, avendo dei dispositivi fisici, vanno ad impattare sulla sua accuratezza. Nel campo dell’amplificazione l’oggetto più importante è l’amplificatore operazionale, l’OpAmp. Si tratta di un amplificatore differenziale in corrente continua ad elevato guadagno. Caratteristiche ideali dell’OP-AMP: 1. Il modello di riferimento dell’OP-AMP è un amplificatore perfettamente differenziale, ossia in cui l’uscita è esclusivamente funzione degli ingressi ed è priva di qualsiasi rumore: 2. Il suo guadagno differenziale in catena aperta è reale e infinito, ossia è privo della componente immaginaria che causa sfasamento: Questo equivale a dire che il sistema ha banda passante infinita. 3. Le impedenze di ingresso differenziale e di modo comune sono infinite, mentre l’impedenza di uscita è nulla: in questo modo la corrente non può entrare nell’operazionale, e la tensione in uscita dall’operazionale è indipendente dal carico e privo di cadute di tensione. 4. È inoltre privo di rumore generato internamente, come conseguenza della prima assunzione. Da queste proprietà deriviamo le regole per l’utilizzo dell’amplificatore: 1. Nel campo di funzionamento lineare, i due morsetti di ingresso sono alla stessa tensione (conseguenza da 2); 2. Le correnti ai morsetti di ingresso sono entrambe nulle (conseguenza da 3). Vediamo ora alcune particolari configurazioni:  L’amplificatore invertente Utilizzando queste regole è molto semplice calcolare la funzione di trasferimento, per esempio, di un OP- AMP invertente: Essendo il piedino positivo collegato verso massa, anche il piedino negativo avrà potenziale nullo. Conoscendo Vi, possiamo calcolare la corrente che attraversa la resistenza Ri. Non potendo entrare nel piedino negativo, questa corrente passa interamente nella resistenza Rf permettendoci di calcolare esattamente il rapporto tra la tensione in uscita e la tensione in ingresso: Questa configurazione è chiamata invertente , in quanto il guadagno è negativo e la tensione in uscita ha segno opposto rispetto a quella in ingresso. Questo dispositivo deve quindi essere alimentato sia con una tensione positiva che negativa rispetto a massa: questa alimentazione è nota come duale . Possiamo calcolare poi le impedenze di ingresso e di uscita del dispositivo. L’impedenza di uscita teorica del dispositivo è nulla: il dispositivo è equivalente ad un generatore di tensione privo di qualsiasi resistenza in serie. Misurando le impedenze in un circuito dotato di generatori, essi vanno spenti: il generatore di tensione diventa un cortocircuito, mentre il generatore di corrente diventa un circuito aperto. Se il circuito è dotato solamente di un Vgen, l’impedenza di ingresso va a massa ed è nulla. Qualsiasi siano gli altri rami, un parallelo tra cortocircuito, una resistenza nulla e una resistenza, il risultato è la resistenza nulla: di conseguenza, abbiamo verificato che l’impedenza di uscita sia nulla. Vediamo ora l’impedenza di ingresso: negli operazionali essa è teoricamente infinita. Al piedino negativo abbiamo una massa virtuale: il circuito a monte vede la resistenza Ri messa a massa. Anche se l’OP-AMP ha un’impedenza in ingresso teoricamente infinita, questa configurazione circuitale modifica questa caratteristica: definendo il valore delle resistenze, dobbiamo scegliere una resistenza di ingresso opportunamente elevata. Quando ho un amplificatore operazionale invertente, questo dà guadagno negativo, il che significa che in uscita potrei avere una funzione negativa. Ma quindi in ingresso non posso avere una tensione positiva (ad esempio da 0 a 5V), ma devo averla da -5 a 5V. È per questo che serve un’alimentazione duale. Nota: come scelgo Rf e Ri se voglio un guadagno 2? Metto 2Ω e 1 Ω oppure 200 Ω e 100 Ω? Vale il principio che l’Opamp deve essere ideale quindi scelgo delle resistenze in ingresso più elevate  L’amplificatore non invertente Passiamo ora a studiare il caso di un amplificatore non invertente. In questo caso la tensione viene applicata direttamente al piedino positivo, anziché alla resistenza in ingresso. Quando utilizziamo un OP-AMP con guadagno ideale infinito, per avere un’uscita finita dobbiamo avere un circuito retroazionato in modo che l’operazionale mantenga l’equilibrio: questo sistema è in anello chiuso, che avrà sempre la retroazione sul piedino invertente. In questo caso il piedino negativo non è più una massa virtuale, ma ha tensione Vi. Possiamo quindi calcolare la corrente che attraversa Ri, che è la stessa che passa per Rf, permettendoci di scrivere l’equazione del guadagno: Il guadagno è positivo e somma 1 al rapporto delle resistenze. Questo significa che il dispositivo può solamente amplificare il segnale in uscita, che non potrà mai essere inferiore al segnale in ingresso. Il valore dell’impedenza di ingresso è infinita, mentre quella di uscita è nulla. Se la resistenza Rf è nulla, il circuito diventa un buffer: il guadagno di questo sistema è unitario, e il valore di tensione in uscita rimane costante. Questo oggetto ha impedenza in ingresso idealmente infinita (nella realtà finita ma comunque altissima), e impedenza di uscita quasi nulla: è lo strumento ideale per accoppiare sistemi con impedenze di ingresso e di uscita non compatibili.  L’amplificatore differenziale Per determinare l’impedenza d’ingresso ci sono dei modelli che ci aiutano nella sua caratterizzazione. In particolare, è possibile definire all’interno di un Opamp due tipologie di impedenze interne disposte come nello schema: ������������ (impedenza differenziale) e ������������������ (impedenza di modo comune). Si può quindi determinare che l’impedenza d’ingresso: - differenziale= 2 ������1 - di modo comune= ( ������1 + ������2)/2 Un’ulteriore ipotesi deve essere fatta sul rumore, ovvero è possibile una riduzione del rumore tramite misure differenziali . Se la sorgente del disturbo è sufficientemente lontana dai due elettrodi, la tensione indotta sui due ingressi sarà uguale, quindi ������������=������������. Di conseguenza: L’ipotesi di uscita indipendente dalla tensione di modo comune (che si presenta quindi uguale ai due morsetti) non è soddisfatta nei circuiti reali. In un amplificatore differenziale reale il guadagno di modo comune ������������������ non è nullo. Il rapporto tra il guadagno differenziale ������������ e il guadagno di modo comune ������������������ prende il nome di rapporto di reiezione di modo comune (CMRR): CMRR: si esprime in dB (20log 10) e solitamente è compreso fra 60-120dB.  Amplificatore differenziale di strumentazione I due amplificatori sono in una configurazione derivata da quella non invertente. In combinazione con l’amplificatore differenziale, essi migliorano il guadagno del sistema indipendentemente dal guadagno di modo comune, aumentando il CMMR: L’impedenza in ingresso è molto alta, garantendo un ottimo accoppiamento con sistemi aventi impedenza di uscita molto alta. Se studiamo il funzionamento di modo comune: Se studiamo il funzionamento differenziale: Dato che il guadagno di modo comune rimane invariato, di fatto il CMRR migliora:  Altri tipi di amplificatori per strumentazione La precedente tipologia di amplificatore per strumentazione, essendo simmetrico, minimizza gli sbilanciamenti del segnale differenziale dovuti ai due percorsi diversi, ma porta ad avere costi aggiuntivi. Se i requisiti su caratteristiche come la risposta in frequenza del segnale sono più modesti, è possibile utilizzare configurazioni alternative che richiedono solamente due operazionali (secondo grafico). La configurazione più utilizzata da noi sarà la (b): risulta molto utile quando il segnale è a bassa frequenza. 2 soli operazionali al posto di 3. non uso sempre questo perché la simmetria mi garantisce migliore performance in termini dinamici. Se asimmetria  quando cambiamo fase sul primo sfasamento sul secondo. Questo va bene se frequenze molto basse  Il filtraggio Un filtro è un sistema che lascia passare inalterate alcune componenti spettrali e che attenua fortemente tutte le altre. I tipi più comunemente utilizzati sono: a. filtri passa-basso. b. Filtri passa-alto. c. Filtri passa-banda. d. Filtri arresta-banda. Caratteristiche di un filtro reale: Quello mostrato nella figura sovrastante è il comportamento ideale di un filtro. Un filtro reale è invece caratterizzato da oscillazioni sia in banda passante sia in banda arrestata e da una banda di transizione in corrispondenza della frequenza di taglio, come mostrato nella seguente figura: FILTRAGGIO PASSA-BASSO:  Filtro passivo RC La corrente che attraversa la capacità nel filtro passivo non dipende solamente dalla resistenza e dalla tensione in ingresso, ma anche da ciò che è collegato a valle: questa configurazione è utilizzabile solamente se dotata di un blocco di isolamento.  Filtro attivo con OP-AMP Le due configurazioni hanno un guadagno apparentemente identico. Il filtro attivo ha però impedenza in uscita molto bassa, a differenza del filtro passivo. Inoltre, se ho in uscita da un filtro passivo un elemento capacitivo, mi trovo ad avere due capacità in parallelo e questo altera pesantemente i calcoli fatti per il filtro RC (finisco per filtrare altre frequenze). Dovrei mettere un buffer fra i due elementi così da disaccoppiarli. Un filtro attivo invece è isolato e disaccoppiato per la presenza dell’OpAmp. Anche nel caso dei filtri abbiamo configurazioni invertenti e non invertenti. Nella configurazione circuitale dei filtri attivi possiamo utilizzare, come al solito, sia la configurazione invertente che quella non invertente. La configurazione non invertente è la più utilizzata in quanto richiede alimentazione singola, e la tensione esterna viene applicata direttamente al piedino non invertente garantendo un’elevatissima impedenza di ingresso e l’accoppiamento con qualsiasi circuito a monte e con il sistema a valle grazie all’impedenza di uscita nulla dell’OP-AMP.  Filtraggio attivo passa-alto  Filtraggio attivo passa-banda Approssimazioni Le approssimazioni vengono introdotte nell’implementazione di filtri di ordine superiore al primo: la posizione dei poli e degli zeri viene scelta in modo da ottimizzare le caratteristiche desiderate del filtro. Le approssimazioni più comuni sono: • Butterworth: la più comune; • Chebyshev: massimizza la pendenza, riducendo il più possibile la banda di transizione a discapito di una maggiore fluttuazione del guadagno all’interno della banda passante; • Bessel: utilizzato per conservare la morfologia del segnale in quanto ottimizza la risposta all’impulso. Una particolare tipologia di filtri sono i filtri di tipo Butterworth. Grazie a questi filtri si possono ottenere diverse risposte in frequenza, che si differenziano per il grado di attenuazione delle frequenze successive alla frequenza di taglio, che varia in relazione al numero di poli. Inoltre, ha la caratteristica di avere una perdita di guadagno in banda non superiore a -3dB per qualsiasi numero di poli.  Implementazione circuitale: filtro passivo Dal punto di vista elettrico, il circuito deve introdurre poli e zeri nella funzione di trasferimento. È necessario quindi effettuare i collegamenti in modo che il circuito a monte abbia un’impedenza di uscita nulla, mentre quello a valle abbia impedenza in ingresso infinita. Ricordiamo che l’ipotesi alla base di questi circuiti è che non transitino correnti al loro esterno. Immaginiamo però che il circuito a valle dell’passa-alto abbia una resistenza collegata verso massa: essa si troverà in parallelo alla resistenza R del filtro, modificando la frequenza di taglio del circuito. La stessa situazione si verifica se un carico capacitivo viene collegato al filtro passabasso.  Implementazione circuitale: filtro attivo I filtri attivi offrono un guadagno superiore a 1, combinando, in un unico circuito, un amplificatore e un filtro. Vantaggi rispetto ad un filtro passivo: - Guadagno > 1 - Bassa impedenza di uscita  Filtri non RC Questi filtri possono essere realizzati con componenti più semplici da realizzare in presenza di particolari requisiti elettrici. Ad esempio, gli induttori sono ottimi nel caso del controllo di attuatori o di componenti in un circuito in cui scorre molta corrente. Utilizzati per attuatori per far passare più corrente possibile. Ad esempio, pwm si utilizzano questi tipi di filtri per modulare la corrente. Costi molto più bassi rispetto ad elementi attivi quali amplificatori operazionali.  Filtri del second’ordine I filtri di ordine superiore al primo vengono tipicamente ottenuti collegando più filtri del primo ordine. Esistono alcune configurazioni che riescono a implementare filtri del secondo ordine utilizzando un singolo operazionale. Esistono delle tabelle che ci permettono di comprare i componenti a valori commerciali, diversi da quelli calcolati, che ci permettono di approssimare meglio quello che vogliamo ottenere.  L’isolamento Questo blocco funzionale serve a isolare il circuito a monte da quello a valle. Con il termine ‘isolamento’ ci riferiremo ai circuiti che garantiscono isolamento galvanico (ossia separazione elettrica) in un certo punto della catena di acquisizione del segnale con la finalità di proteggere il paziente da tensioni e correnti elevate. I circuiti di ‘protezione’, viceversa, hanno come obiettivo la protezione del dispositivo. Questo aspetto è estremamente importante in quanto il mancato funzionamento di un dispositivo biomedico in un momento critico può comportate un rischio per il paziente. Qualunque conduttore elettrico interposto tra strumento e paziente potrebbe far passare elevata corrente al paziente in caso di guasto. Non ho nessun circuito elettrico capace di garantire questo isolamento, perché sono tutti composti da componenti conduttori. Devo cercare di deviare il percorso. Garantire l’isolamento elettrico è complesso in quanto c’è sempre collegamento elettrico tra i vari punti del circuito. Di conseguenza, nella catena di acquisizione del segnale ci deve essere un punto in cui non ci sia alcun conduttore elettrico che metta in comunicazione il circuito a monte e quello a valle, pur riuscendo a trasmettere il segnale. Il segnale elettrico deve quindi essere convertito in un vettore in grado di attraversare facilmente la barriera isolante. Esistono due principali vettori di trasmissione non elettrica dell’informazione: ottico e magnetico.  L’optoisolatore L’idea è quella di trasferire informazioni da segnale elettrico a radiazione luminosa. Questa può passare attraverso strumenti che garantiscono elevato isolamento elettrico, mentre la luce può passare (esempio, le prese elettriche). Devo usare strumento capace di trasformare elettricità in luce e viceversa. Passando da una fonte di energia ad un'altra dobbiamo garantire che alla fine della trasduzione le funzioni di trasferimento siano bilanciate, altrimenti non possiamo tornare da una fonte all’altra. Come si può notare i circuiti che contengono i due fotodiodi non sono fisicamente connessi: c’è una barriera isolante. L’accoppiamento ottico avviene tra il led e un elemento fotosensibile (fotodiodo). Il funzionamento dell’optoisolatore si basa sulla presenza di due fotodiodi (FD1, FD2) identici che ricevono la stessa radiazione luminosa da led (DL). Questo perché le relazioni tra corrente ed emissione di luce dal led e tra corrente inversa e radiazione incidente del FD sono fortemente non lineari, che devono essere compensate. Si utilizza allora a questo scopo un operazionale, dove FD1 ed FD2 regolano la corrente che attraversa il ramo retroazionale. Si noti che possiamo tirare una linea tra i due circuiti, attraverso il quale non passa nessun filo. Creo una barriera d’isolamento. Bisogna però garantire una relazione lineare tra ingresso ed uscita. La retroazione nel 1° caso è garantita dall’accoppiamento del led e del fotodiodo: il fotodiodo farà passare una corrente inversa i1, funzione della radiazione incidente. La corrente che passa attraverso la resistenza verrà bilanciata dall’operazionale, facendo in modo che la radiazione luminosa prodotta da DL1 produca su FD1 una corrente uguale  chiudo retroazione usando la luce. Se dall’altra parte mettiamo un FD2 = FD1 che riceve la stessa quantità di radiazione prodotta da DL1, allora anche i3 sarà uguale a i1. Grazie a questa retroazione si riescono a compensare tutti i fenomeni di non linearità. Regolando il rapporto tra le resistenze possiamo anche definire un guadagno e amplificare il segnale. In realtà gli optoisolatori non si utilizzano molto attualmente perché non si riescono così tanto facilmente a rispettare i requisiti visti: ci sarà sempre qualche errore introdotto ad esempio dal fatto che FD1 e FD2 non sono proprio perfettamente uguali oppure dal fatto che il materiale isolante non è completamente uniforme e quindi la radiazione non sarà la stessa nei due circuiti. Questo approccio invece sarà molto utilizzato per garantire isolamento nei segnali digitali, perché qui abbiamo bisogno di una relazione lineare tra ingresso e uscita, ma quando utilizziamo un segnale digitale ci basta capire che il segnale sia on o off, cosa garantita anche in presenza di rumore. Nel caso del digitale non servirà più l’operazionale, ma si userà un led collegato a segnale digitale che arriva, acceso solo quando la codifica è 1.  Il trasformatore In questo caso unione tra circuito primario e secondario è garantita dal flusso magnetico. Il trasformatore è una macchina elettrica fisicamente realizzata avvolgendo due bobine in modo che condividano il flusso magnetico. I due avvolgimenti possono essere realizzati in modo da condividere lo stesso asse, o intramezzate da un materiale ferromagnetico. Identifico anche qui una linea verticale non attraversata da nessun filo. Utilizzo 2 trasformatori indipendenti per non avere interferenza tra i campi magnetici. Partiamo dalla parte sopra. Come funziona un trasformatore? Ci sono due leggi fondamentali, la prima che lega il campo magnetico alla corrente che passa all’interno del solenoide; questo campo magnetico prodotto attraversa le spire del secondo circuito e genera una forza elettromotrice uscente  LEGGE DELL’INDUZIONE ELETTROMAGNETICA. In questo caso è possibile avere un’alimentazione comune per tutti e due i circuiti (caratteristica che li rende più utilizzati rispetto agli optoisolatori). Per far si che il campo magnetico del primo circuito intersechi la bobina del secondo, o metto una bobina sull’altra oppure uso materiale ferromagnetico per indirizzare le linee del campo magnetico. Esempio: sensore accoppiato all’arteria per misurare la pressione. Per evitare eventuali perdite di corrente verso il paziente, mettiamo un trasformatore come isolante. Nella trasduzione la relazione tra corrente e campo magnetico è lineare, ma la legge di induzione ci dice che la corrente è proporzionale alla derivata del campo magnetico nel tempo, e la derivata in termini di frequenza di trasferimento è un filtro passa alto. Ma mettendo dei filtri passa alto c’è il rischio di perdere informazioni sulle frequenze più basse, che nel nostro caso sono importanti, ad esempio, per calcolare la pressione media, fondamentale a livello diagnostico. Uso allora un modulatore , che mi permette di ottenere un segnale alternato, anche quando si trasporta un segnale continuo. Dopo il trasformatore c’è invece un demodulatore , che svolge il processo opposto. Possiamo avere due tipi di modulazione: in ampiezza e in frequenza . Il segnale è utilizzato per modificare una determinata caratteristica (ampiezza o frequenza) del segnale portante che oscilla ad una determinata frequenza. Per quanto riguarda la modulazione in ampiezza , il suo inviluppo è il segnale continuo originario. Per quanto riguarda la modulazione in frequenza invece, se il segnale continuo aumenta, allora il segnale alternato aumenta in frequenza (viceversa per la diminuzione o per quando il segnale rimane costante). La modulazione di ampiezza ha alcuni inconvenienti: l’ampiezza del segnale è determinata anche dal percorso tra sorgente e destinazione del segnale, e viene attenuato da ostacoli incontrati durante il tragitto, causando alterazioni nel contenuto informativo. Nelle nostre applicazioni biomediche vedremo comunque questa tipologia di modulazione. Se si modifica per qualche problema esterno l'ampiezza del segnale, verrà modificata anche l'ampiezza del segnale in uscita. Problema meno evidente con la modulazione in frequenza. Ritornando alla modulazione di ampiezza , il segnale di partenza è l’inviluppo del segnale modulato. Per ottenere il segnale di partenza è necessario rimuovere la componente in alta frequenza. Per far ciò, possiamo usare un filtro passabasso, ma in questo modo eliminiamo la portante e di conseguenza anche l’informazione che sta veicolando. Il circuito passa-basso viene quindi collegato ad un diodo che raddrizza il segnale, ottenendo così il rilevatore di inviluppo a diodo. Circuito secondario: sotto il circuito risolve il problema di isolare tutto quello a contatto con il paziente. Uso quindi il secondo trasformatore, indipendente rispetto al primo. In questo caso quindi il trasformatore non serve a portare informazione ma corrente. Ho alimentazione continua del circuito; in queste situazioni non avrei garantita l’induzione, che in presenza di campo magnetico costante è nullo. Devo avere una tensione alternata per portare corrente da una parte all’altra. Si usa un convertitore AC/DC che genera corrente alternata, utilizzata come portante. Si genera così nel secondario FEM. Il secondo circuito serve quindi per garantire l’alimentazione per portare avanti l’informazione nel primo circuito.  Il campionamento Se ci vogliamo fermare ad un approccio analogico ci fermiamo qui, altrimenti dobbiamo trasformare il segnale in digitale. Il campionamento viene effettuato dal campionatore, blocco funzionale presente negli strumenti digitali, ovvero in quegli strumenti nei quali l’elaborazione dei segnali e/o la visualizzazione sono effettuati in forma numerica. Il campionamento prevede due fasi: 1. Campionamento temporale: decidere in quale istante del tempo il segnale deve essere convertito; 2. Conversione del segnale campionato da analogico a digitale. Data la complessità dei sistemi di campionamento, è necessario utilizzarli in maniera il più efficiente possibile. Molti dispositivi biomedicali necessitano l’acquisizione di informazioni da una pluralità di sensori. Nella maggioranza dei casi, il contenuto in frequenza di questi segnali non è particolarmente elevato, di conseguenza possiamo utilizzare un unico convertitore connesso a diverse linee di ingresso, riducendo costi, complessità e dimensioni del circuito stesso.  Il multiplexer Componente che serve per poter utilizzare uno stesso convertitore A/D per un certo numero di segnali di ingresso al fine di ridurre i costi e la complessità dello strumento. I diversi segnali in ingresso vengono così campionati in successione, riducendo, però, la massima frequenza di campionamento. Il multiplexer è caratterizzato dai seguenti parametri: - Numero di canali - Velocità di commutazione - Numero di commutazioni (vita) - Caratteristiche elettriche dei commutatori, ossia valori di resistenza a circuito chiuso RON e a circuito aperto ROFF. Lo svantaggio di campionare un segnale alla volta è che i segnali non sono uguali, e quindi produco sfasamento perché campiono in momenti diversi. Altro aspetto importante è che se voglio una frequenza di campionamento su 10 segnali d’ingresso (facciamo il caso che vogliamo 1 KHz per ogni singolo segnale), significa che tra un campione e il successivo del primo segnale, devo aver fatto già il campionamento degli altri segnali  la frequenza di campionamento del convertitore sarà uguale alla frequenza di campionamento del singolo canale moltiplicata per il numero di canali, quindi deve essere molto veloce per fare la conversione di tanti segnali. Il multiplexer, quindi, serve a farci risparmiare molto tempo.  Il sample and hold Circuito che può essere comandato per seguire con la tensione in uscita l’andamento nel tempo della tensione in ingresso (SAMPLE) oppure per mantenere stabile nel tempo l’ultimo valore assunto dall’uscita (HOLD). Il mantenimento non permane indefinitamente ma evolve (decresce esponenzialmente) con una costante di tempo relativamente lunga (il condensatore si scarica molto lentamente). L’implementazione più semplice di questo circuito prevede tre terminali: il primo riceve l’ingresso analogico, il secondo è un ingresso digitale che determina la configurazione operativa del circuito (ossia se è in modalità di campionamento o di mantenimento), e infine un piedino analogico che riporta il valore corrispondente alla funzione attiva. In modalità sample, l’ingresso viene riportato fedelmente sull’uscita. Appena viene attivata la modalità hold, il segnale in uscita smette di riprodurre il segnale in ingresso ma si mantiene costante nel tempo. Dal punto di vista teorico, questo dispositivo funziona come una memoria analogica che non può funzionare a tempo indeterminato: la modalità hold può essere mantenuta solamente per un certo tempo, oltre al quale il segnale si altererà con una determinata costante di tempo. I tempi di risposta al passaggio da hold a sample non sono istantanei, ma è necessario attendere un certo intervallo di tempo che generalmente è proporzionale alla differenza tra i due segnali: se il segnale varia di molto, l’uscita deve spostare molto il suo potenziale per riallinearsi. Un Sample & Hold può essere implementato con diverse realizzazioni circuitali: a. In questa realizzazione il segnale arriva in V 1 ed entra in un morsetto dell’OpAmp. Quando l’interruttore è chiuso (fase di sample), questo dispositivo non è altro che un buffer: l’operazionale sposta cariche dal condensatore in modo che il nodo di uscita sia sempre allo stesso potenziale del nodo di ingresso. Aprendo l’interruttore, la retroazione viene rimossa: l’unico determinante del potenziale di uscita è il potenziale del condensatore, che nel caso del condensatore ideale rimarrà costante nel tempo, mentre nel caso reale tenderà a scendere gradualmente ma garantendo comunque stabilità nei brevi intervalli di tempo necessari per la conversione. In realtà parte delle cariche fluisce nel piedino invertente (impedenza di ingresso elevata ma non infinita), quindi il potenziale tra le armature del condensatore non sarà del tutto costante, pur avendo comunque una costante di tempo abbastanza elevata. La costante di tempo ci indica per quanto tempo il segnale di uscita durante la modalità di hold è rappresentativo del segnale presente al nodo di ingresso nel momento di transizione alla modalità hold. La resistenza del circuito collegato a valle del sample and hold modifica la costante di tempo teorica del condensatore. b. Per risolvere il fatto che il condensatore possa scaricarsi velocemente su elementi collegati a valle del circuito, si può realizzare questo tipo di configurazione. Si collega a V2 un buffer e, in questo modo, il condensatore si scarica solo sulla resistenza d’ingresso del secondo OpAmp e sull’interruttore. c. In alternativa si può optare per questa soluzione circuitale: evito che il secondo operazionale prenda le cariche direttamente dal condensatore, permettendo di raddoppiare le performance senza aumentare i costi In entrambi i casi (b e c), il potenziale di uscita rimane lo stesso. Nella configurazione circuitale originaria, il condensatore è collegato unicamente all’uscita del primo OP-AMP, e al piedino positivo del secondo. Nella configurazione buffer ‘standard’ invece esso è collegato anche all’ingresso negativo del primo OP-AMP. Se l’amplificatore fosse ideale, le resistenze di ingresso degli OP-AMP sarebbero infinite e, quando messe in parallelo, risulterebbero comunque in una resistenza infinita. L’operazionale è però reale: anche supponendo che i due OP-AMP siano identici e con ottime prestazioni, il condensatore nella configurazione buffer vedrebbe un carico pari a metà del carico presente nella configurazione originale.  Il convertitore analogico/digitale Una volta che il segnale analogico è stato campionato nel tempo, esso deve essere codificato come un numero che approssimi nel modo migliore possibile il valore analogico. A seconda delle caratteristiche, esistono diversi tipi di convertitori A/D. queste caratteristiche sono: - La tecnica di conversione - La velocità di conversione - La risoluzione, espressa in numero di bit: essa indica il numero di livelli con cui viene suddiviso il valore di fondo scala (FS) per rappresentare il segnale campionato. - Gli errori di quantizzazione - La ripetibilità - La semplicità dei circuiti di servizio, ossia i circuiti necessari per il collegamento del convertitore ad altri circuiti - La semplicità di interfacciamento con microelaboratori - Il costo RISOLUZIONE: Espressa solitamente in n° di bit, indica il numero di livelli con i quali viene suddiviso il valore di fondo scala (FS) per rappresentare il segnale campionato. Un convertitore a N bit suddivide il FS in 2������ intervalli. La risoluzione è 1/( 2������). Ad esempio, la risoluzione di un convertitore a 10 bit è pari a 1/1024 del FS (ovvero circa lo 0.1%). ERRORI DI QUANTIZZAZIONE (Eq): Quando avviene il campionamento, si ottiene un segnale a scalini, ma questi scalini sono ancora valori analogici. Con la quantizzazione si va ad arrotondare questi valori a dei valori prefissati dati dalla risoluzione. Per questo motivo, gli errori di quantizzazione sono dovuti al numero finito di simboli con i quali viene rappresentato i